giovedì 12 settembre 2019

TUTTO QUESTO AMBARADAN CHE È STATO MESSO IN PIEDI, NON HA NARRATORI


Esperienze lisergico-gastronomiche con Lorenzo Miglioli, scrittore,saggista, sceneggiatore e soprattutto scienziato-teppista, che mi parla di intelligenza artificiale mentre mangiamo gnocco fritto e beviamo lambrusco. Lui è esattamente così.
Avercene.

"Questo qua è un progetto che non ha eguali, ma noi non possiamo fare come gli americani, che ne so, la Boston Dynamics che investe 6 miliardi di dollari all'anno. Questo è un progetto che va dritto verso un confronto con l'etologia, dare un'intelligenza emotiva alle macchine. Oggi si dice: dobbiamo dare etica, un'etica. Perché l'intelligenza artificiale, poi, che cos'è un'intelligenza artificiale?
Tutti continuano a sparar cazzate sull'intelligenza artificiale, ma perché noi stiamo continuando ad essere antropocentrici, noi continuiamo a paragonare, a credere che l'intelligenza artificiale farà delle cose meglio di noi umani: le faranno diverse. Le stanno già facendo diverse.
Loro sono intelligenze diffuse, loro non hanno corpo, il loro corpo è il pianeta.
Noi continuiamo a non capire, sono iperoggettuali, è quella lì la differenza.
Allora, noi continuiamo a dire "persone", cioè queste cagate qua che non servono a niente. L'animalizzazione dell'intelligenza artificiale. Animalizzazione cosa vuol dire? Siamo molto avanti su questo, perché stiamo applicando questa teoria, che è molto wittgensteiniana, basata sul linguaggio che è precoscienza, è un lavoro sul linguaggio che istruisce le macchine a riconoscere dei desideri.
Cosa sono i desideri? Se un gatto rincorre la pallina, se il gatto rincorre il topo, "rincorrere" è il desiderio del gatto. Sembra una banalizzazione, ma non lo è per niente, perché invece è una "canalizzazione", per l'intelligenza universale è addirittura l'apertura di un universo semantico.
Ora, servono tutta una serie di interfacce e noi ci siamo messi abbastanza avanti. Adesso però mi serve un gruppo che si metta lì e che dice bene, prendo il mano il progetto, perché serve comunque un supervisore che non è né ingegnere, né etologo, ma è un narratore.
Perché è questo che serve adesso, adesso tutto questo ambaradan che è stato messo in piedi, non ha narratori.
E' questo il vero grande problema".

giovedì 1 agosto 2019

È il giornalismo di Valerio Lo Muzio che salverà il Paese


Grazie Valerio, il tuo esempio di professionalità è un'ancora di salvezza per tutti noi.
Ai giornalisti si chiede di fare una cosa sola: le domande.

E tu le hai fatte.

Hai continuato a farle quando il Ministro dell'Interno, stilando una personalissima hit parade dei temi interessanti, ti ha detto che stavi disturbando tutti i tuoi colleghi, che - al contrario di te - stavano parlando di "problemi veri".

Hai continuato a fare le domande quando il Ministro dell'Interno ha detto che lui non parla "di figli e di minori", e che questi - cioè i figli e i minori - "vanno tenuti fuori della polemica politica".

E addirittura il Ministro dell'Interno dice "Mi vergogno per chi coinvolge i bambini nella polemica politica". E chissà perché a noi, evidentemente distratti, era parso invece di intravvedere in queste ultime settimane un certo accanimento su Bibbiano. Vai a capire.

E quando hai fatto ancora una volta la domanda, chiedendo - anche a nome di tutti noi - chi fossero le persone in spiaggia che ti impedivano di fare il tuo mestiere, ha alzato il tiro e ti ha detto "Vada a riprendere i bambini, lei che è specializzato e le piace tanto".

E tu non hai ceduto neanche di fronte a questo, hai rifatto la domanda.

E a quel punto il Ministro dell'Interno ti ha invitato a fare un giro in pedalò.

Spero di sentire la voce dell'Ordine dei Giornalisti difendere pubblicamente il tuo lavoro, Valerio, perché sono esempi come questi che nobilitano la professione.



lunedì 8 luglio 2019

Quel gesto rivoluzionario di Grazia


Così te ne sei andata, Grazia.
Eri così felice in questa foto.
Credo sia il 1993.
Abbracciata a Vlado. Io di fianco a voi con un imbarazzante giardino verticale di capelli sulla testa.
Certo che te lo ricordi Vlado.
Lo avevamo conosciuto a Zara.
Eravamo andati lì a raccontare la guerra, tu per il Carlino, io per la Gazzetta.
Era molto complicato entrare nelle zone di guerra come giornalisti, almeno in veste ufficiale.
E quindi ci eravamo accodati alla Croce Rossa come volontari, una piccola missione con Daniele per trasportare soprattutto viveri e vestiti per i bambini.
Ti ricordi? Nel pomeriggio del primo giorno, dopo aver scaricato la merce alla sede della Croce Rossa a Zara, eravamo saliti su un mezzo dell'esercito e ci eravamo inoltrati nell'entroterra, lasciandoci Zara alle spalle, andando verso la linea del fronte, e ci eravamo fermati in un villaggio, presidiato solo dall'esercito, che lo aveva riconquistato dopo una battaglia.
La popolazione era stata evacuata.
I soldati lì si davano il cambio.
Dopo qualche giorno al fronte, rientravano in quel villaggio a riposare. E poi tornavano al fronte. Scorreva molta birra, mi ricordo.
Il silenzio era quasi irreale, si sentiva solo quel rumore basso e lontano delle cannonate a qualche chilometro da lì.
L'intera zona era delimitata da nastri viola che indicavano le aree minate.
E ti ricordi cos'è successo a un certo punto?
C'era stata un'improvvisa agitazione da parte dei militari, dicevano che dovevamo risalire sulle auto e andare via rapidamente, perché eravamo stati "tracciati". Qualcosa del genere. In sostanza poteva arrivare una granata da un momento all'altro, quindi bisognava allontanarsi da lì.
Mentre stavamo per risalire sulle auto si era sentito un soldato che urlava qualcosa, capivo solo STOP STOP STOP!!!
Mi ero girato e vedevo il soldato che ti stava urlando STOP!!!, ti diceva di stare assolutamente immobile lì dov'eri.
Ti ricordi cos'era successo vero?
Che tu, candida come solo tu potevi essere, avevi visto dei fiori bellissimi in un campo li vicino. Avevi alzato il nastro viola per entrare e ti eri incamminata verso i fiori.
E adesso eri lì a raccoglierli.
Il militare, con l'aiuto di Vlado, che ci faceva anche da interprete, ti aveva chiesto di indicargli esattamente il tragitto che avevi fatto per arrivare lì.
Lui avrebbe percorso quello stesso tragitto, mettendo un passo dopo l'altro per evitare le mine che tu, puntando ai fiori, avevi inconsapevolmente evitato pochi minuti prima.
Eravamo stati tutti in silenzio mentre il soldato faceva un passo alla volta per venire a prenderti.
Ti aveva raggiunta e ti aveva presa per mano e, mentre ti riaccompagnava fuori, ti aveva sgranato nella sua lingua una serie di maledizioni che non era stato necessario tradurre, il senso era chiaro.
Quando eri uscita dal campo minato ed eri al sicuro, ci avevi detto con uno sguardo ironico e con quella tua voce sempre sottile: ho visto dei fiori e volevo raccoglierli, erano così belli.
Adesso non ci sei più, Grazia, ma te lo devo proprio dire: raccogliere i fiori in un campo minato è stato il gesto più rivoluzionario che io abbia mai visto fare, il più grande sberleffo all'idiozia della guerra e alla stupidità della gente.

venerdì 7 giugno 2019

¡Buen camino hombre!

Non credo che Paulo Coelho abbia mai avuto una tendinite. Altrimenti non avrebbe mai scritto una cosa vaga come "Quando le tue gambe sono stanche, cammina con il cuore".

Per me la Francigena si è fermata a Siena. Nonostante Coelho, il dolore al tendine tibiale ha largamente surclassato ogni volontà di proseguire dopo 4 meravigliose giornate di cammino lungo le colline nel cuore della Toscana.
E me ne sono tornato a casa un po' prima del previsto.

In ordine sparso, mi viene in mente quel signore spagnolo con la maglietta arancione, 80 anni già compiuti, che ho sorpassato in direzione di Colle Val d'Elsa.
Ci siamo parlati in un fantastico mix di italiano, spagnolo e inglese, le parole essenziali per dirci che, sì, la direzione era quella giusta. E mentre riprendevamo ognuno il proprio passo, mi ha battuto una mano sulla spalla augurandomi "¡Buen camino, hombre!"

Un momento di grande semplicità, che mi ha fatto dimenticare l'imbarazzo di due giorni prima in tutt'altra situazione.
Dunque, cammino con due uomini nella zona che precede San Gimignano e si parla del più e del meno. Con uno, in particolare, si parla della Calabria, che - gli dico io - secondo me è la regione con il potenziale turistico ed economico più inespresso del nostro Paese, a causa principalmente della criminalità.
Gli infilo lì 3 o 4 massime che andrebbero bene (forse) al bar, facendo l'espertone de noantri su 'ndrine e compagnia.
Fino a che non gli chiedo che mestiere faccia.
E' un vicecommissario di Polizia che ha lavorato per 30 anni in Calabria.
E ha di fronte l'ennesimo  coglionazzo (io) che fa l'esperto di cose di cui non sa niente.
Non me lo fa notare, è un vero signore.
Ma io mi sento così.

Tra San Miniato e Gambassi, nel sole del primo pomeriggio, in apert(issim)a campagna, passo di
fianco a un cimitero. La guida liquida la cosa così: ""Si supera un cimitero e dopo 700 metri si arriva a un incrocio girando a sinistra".
Arrivato in quel punto, vedo dei ruderi e decido di andare a curiosare. Il cimitero, minuscolo, ha delle mura quasi interamente crollate, un cancello d'ingresso divelto, lapidi quasi tutte rotte, i segni di un inutilizzo da decenni. L'ultima sepoltura, mi pare di capire guardandomi intorno, è del 1948. Di una delle poche lapidi ancora integre mi colpisce la frase, perché non c'è traccia di consolazione, di eternità, di disegno divino (per chi ha fede, ovvio), ma solo rammarico, tristezza, amarezza:

Questa lugubre tomba 
racchiude le ultime spoglie di 
Gabbriello Bartalucci
uomo giusto e di esemplari costumi. 
Colpito da crudo malore 
cessava di vivere il 26 ottobre 1918 
a soli 9 lustri 
lasciando nella desolazione
la moglie i figli padre e madre
 fratello e congiunti che l'adoravano.



A Monteriggioni, spettacolare borgo medioevale nel senese, dormo all'ostello Santa Maria Assunta.
Ci arrivo nel primo pomeriggio, quando è troppo presto per l'accoglienza dei pellegrini. E, mentre aspetto, mi addormento su una delle panchine della piazza, seduto, mentre di fianco a me una coppia di tedeschi mangia il gelato.
Quando arriva l'ora, me ne torno all'ostello e lì mi accoglie Costel, un rumeno che avrà suppergiù 35 anni. Gentile, un vocabolario abbondante considerando che - mi dice - è in Italia da 10 anni.
Registra le mie generalità, mi restituisce la Carta di Identità e mi suggerisce: nel ristorantino qui di fronte fanno una ribollita buonissima.
La notte, in camera con me, David, 31enne newyorkese che punta a Roma, dove lo attende la sua ragazza. E Ugolina, padovana 70enne che mi racconta delle sue scelte di vita, di andare presto in pensione e dedicarsi a se stessi, che il lavoro è una trappola.
E per la mia tendinite, che mi fa zoppicare ad ogni passo, tenta di convertirmi all'artiglio del diavolo, un antinfiammatorio naturale, di cui mi regala 4 compresse. 

Non vorrei poi dire troppe parole su una coppia per non renderla riconoscibile, ma insomma vi dirò che un ragazzo sta recuperando la propria vita, dopo averla persa nella dipendenza della droga. Sta percorrendo la Francigena da settimane in compagnia di una persona che si prende cura di lui e che con lui divide il cammino. E sta funzionando.

Il cammino è fatto di lunghe solitudini silenziose, un vero lusso di questi tempi, ma anche di incontri lungo la via con persone partite ognuna con le proprie motivazioni: Marina, Paolo, Silvestro, Sara, Grit, Marina 2, David, Annamaria, Mario, Giuseppe. Buon cammino a tutti voi, con le parole di Bruce Chatwin: "Camminare è un'attività poetica che può guarire il mondo dai suoi mali".