martedì 26 gennaio 2021

Ok, panico.


Anche se al Bar Jolly a Vittorio hanno vinto mezzo milione di euro al Gratta e Vinci, io quel bar me lo continuerò a ricordare per tutt'altro, per uno dei momenti di massimo panico della mia vita, ma - soprattutto - per una delle reazioni più coraggiose (della mia vita, ça va sans dire).

Dunque, eravamo dalle parti degli anni Ottanta, direi 1984. Liceo scientifico, fine anno scolastico, pagella a precipizio, matematica ecatombe, fisica livello terrapiattista, filosofia orientamento Tv Sorrisi e Canzoni.

Teorico perenne del bicchiere mezzo pieno, non ho dubbi: ce la posso comunque fare.

Quelle giornate di fine anno in cui hai 5 ore, 4 inutili, ma la quinta ti giochi l'anno: interrogazione di chimica per evitare la bocciatura, per poi sbandierare 3 materie a settembre come un assoluto trionfo accademico. 

Che fare? Saltare le prime 4 ore e - lo so, sembra incredibile - studiare 240 minuti ininterrottamente chimica per entrare solo alla quinta ora, offrirsi volontario e salvare l'anno.

In classe non si può studiare. Dove, allora? Vicino a scuola, tipo in un bar. Marinare, bigiare, ecc ecc, da noi di diceva: bruciare.
Ok, brucio 4 ore e entro la quinta.
Unico rischio mortale durante la sosta di 4 ore al bar: #farsitrovaredaigenitori.

C'è un rischio di livello siderale: mio papà, che di solito con la ditta per cui lavora è sempre lontano, proprio in quei giorni lavora non solo a Vittorio, ma proprio a metà strada tra il bar e la scuola.

Dai, non verrà proprio in questo bar. 

Il mio compagno di bruciate, quella mattina, è Sergio. Stesso schema, stesso bar, stessa materia. Ci faremo interrogare insieme. 

Metto a punto un piano INFALLIBILE: mi siedo dando la schiena all'ingresso, così passo inosservato. Sergio si siede di fronte a me e può vedere chi entra. Se sta per entrare uno che corrisponde a questo profilo:
[Uomo robusto di circa 50 anni, barbone folto] vuol dire che è mio papà, e quindi mi deve avvertire.

Passa un quarto d'ora. Sergio mi chiede: "Eo to pare quel là?" 

Brivido.

Mi giro: mio papà è al banco con un collega, beve un caffè.

Sorvolando sul fatto che Sergio non ha fatto l'unica cosa che avrebbe dovuto fare -  avvertirmi PRIMA che entrasse - capto la provvisorietà del mio piano, tipo non aver previsto la risposta a questa domanda: cosa faccio se entra mio papà?

Mappo mentalmente il posto per individuare vie di fuga, armadi in cui nascondermi, palme dietro cui mimetizzarmi, parrucche da indossare, cabine telefoniche dentro cui inabissarmi. Non c'è alcuna possibilità.

Scelgo l'opzione eroica.
Mi faccio vedere, non c'è altro da fare.
Andrò incontro al mio destino con dignità. Abbandonerò la scuola, per me un orizzonte di lavori forzati per i successivi 30 anni come sottoaiutante manovratore di betoniere nei cantieri o tosatore di yak sui pascoli dell'Alto Adige. E dopo, ma solo dopo, potrò riprendere a studiare.

Vado dritto verso il banco del bar: ciao papà!
Silenzio sbigottito, mi guarda sorpreso: "Ciao, cosa fai qua"?

"Studio". 

Ecco, io ricordo ancora distintamente la risata a quella risposta, un vero gesto di clemenza istantanea, che mi avrebbe inaspettatamente proiettato leggero verso l'interrogazione di chimica e a godermi il trionfo di sole 3 materie a settembre.