Per spiegare che ha avuto una montata lattea scarsa, Carlotta Magnanini su D di Repubblica scrive:
"La montata lattea non fu quell'esondazione inarrestabile del Vajont come avrebbe dovuto essere, ma di quelle che va be', sempre meglio che niente. Così così. Da puerpera spuria".
E poche righe dopo, per precisare di aver provato anche con il latte ipoallergenico Unipo, sottolinea:
"La poppata successiva fu un Vajont di Unipo in polvere".
Maneggiare la scrittura, ignorando la storia, provoca sempre risultati agghiaccianti e, in questo caso, umilianti per la memoria delle 1917 vittime del Vajont, per i superstiti e - sì - anche per il giornalismo.
Sono sicuro che è tutto scritto in buona fede, faccio lo stesso mestiere della Magnanini e so che può capitare, ne ho già scritto. E' capitato anche a me.
Ma almeno nell'anno della ricorrenza del 50° della catastrofe di Longarone, un po' di attenzione, dai.
Altrimenti va a finire che, per descrivere una diarrea, scriveremo simpaticamente di aver avuto un'Hiroshima nel culo. Oppure descriveremo un travolgente sisma dell'Irpinia nel naso per dire che ci stavano scaccolando con una certa irruenza. O un olocausto in cucina per dire che il frigo non funziona.
Io, oltre che giornalista, sono figlio di una superstite e faccio un invito ufficiale a Carlotta Magnanini, senza ironia: se è disponibile, un giorno la accompagno nelle zone della tragedia. Sono sicuro che capirà che il mio non è livore, è solo tentativo di mantenere viva la memoria.