martedì 1 novembre 2022

Avevamo la felicità in quei passi nella neve

Un'incosciente propensione volterriana mi spinge a pensare ogni giorno - non solo a pensarlo, ma ad essere avvolto dalla sensazione ed esserne certo - che sto vivendo la giornata migliore della mia vita. 

Sarà l'eredità di un'infanzia assolutamente perfetta, una sorta di proiezione infinita di quegli anni. Materia per gli psichiatri, o perfetta per il bar, dipende. Ma questo è.

Qualche giorno fa, su Robinson, Gabriele Romagnoli ripercorre, di sponda, la biografia di Philip Roth a firma di Blake Bailey e ne cita un passo che rimanda esattamente a questa sensazione, anche se con un corollario diametralmente opposto: "Non c'era nulla che potesse eguagliare un ritorno a casa da scuola sotto la neve. Era quanto di meglio la vita avesse da offrire. La neve era l'infanzia, protetta, spensierata, amata, ubbidiente". 

Una sensazione che per Roth  - in questo senso è corollario opposto alla mia sensazione quotidiana - è memoria di felicità ormai perduta, lui, successivamente disperso (ma per noi lettori: per fortuna)  nell'ossessione narrativa dell'insussistenza della vita e nella torsione di ogni senso verso l'immersione nella realtà del primato della decadenza e dell'umiliazione dei corpi.
Avevamo la felicità in quei passi nella neve. Dove se n'è andata? 

Analogamente, il miglior Michel Houellebecq, quello cupo e abissale de "Le particelle elementari", da leggere solo ed esclusivamente se si è di ottimo umore, altrimenti la via verso lo Xanax è spianata, scrive:
"I nonni di Marc abitavano in un appartamento molto bello in Boulevard Edgar Quinet. Gli edifici borghesi del centro di Algeri erano costruiti sul modello di quelli hausmaniani di Parigi. Un corridoio lungo venti metri attraversava l’appartamento e sfociava in un salone dal cui balcone si dominava la città bianca. Anni e anni più tardi, ormai quarantenne disincantato e acido, Marc avrebbe ripensato più volte a una particolare immagine: se stesso a quattro anni in sella al triciclo, che sfrecciava nel corridoio pedalando con tutte le forze fino al varco abbacinante del balcone. Molto probabilmente quei momenti furono il suo culmine di felicità terrestre".

L'infanzia felice che può cristallizzarsi in un ricordo immobile, o diventare motore quotidiano di ogni senso futuro.