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Sulle strade del Mid Market a San Francisco |
San Francisco. Due chiacchiere a margine di un evento ufficiale.
Penso sia un'esagerazione.
Questa cosa della foto intendo.
E invece passano 24 ore e lo faccio anche io.
Un ragazzo steso per terra.
Estraggo il cellulare, clic, ecco San Francisco.
Una specie di cannibalismo digitale con venature moralistiche a cui mi accodo senza neanche rendermene conto.
Siamo nella zona del Mid Market. Ma è così anche a Soma, South Park, South Beach. E chissà in quanti altri posti. Un esercito di persone fatte e sfatte, soprattutto crack mi dicono. Inermi e allucinati, stesi sull'asfalto, bruciati dal sole, dal vento, a gruppetti lungo i marciapiedi di Frisco, piccoli accampamenti tra piscio, sacchi a pelo e cartoni. Ma anche moltitudini di singoli spettri, che incroci ogni 10 metri mentre cammini.
3 anni fa, quando ero venuto per la prima volta in California, non era così. Era una San Francisco meno cupa. Ma ora è la prima cosa che si vede. Qualcosa, qui e altrove, sta andando più storto di sempre. Compreso il mio cannibalismo digitale.
I salari hi-tech
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Downtown San Francisco |
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I manifesti di Matt Haney |
Sulle vetrine di qualche negozio ci sono i manifesti della campagna elettorale di Matt Haney per il
District 6 di San Francisco. Il primo dei tre slogan è "ripuliamo le nostre strade".
A qualcuno queste parole dovrebbero suonare familiari
The TrumanShow-Valley
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La sede di una delle Companies in Silicon Valley |
Il sogno americano
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Bandiera a mezz'asta per l'11 settembre alla HP - Palo Alto |
La sede di Hewlett Packard, a Palo Alto, è un’astronave se paragonata al celeberrimo garage al 367 di Addison Avenue, dove nel 1938 Bill Hewlett e Dave Packard – costruendo un oscillatore audio – diedero il La a quella che sarebbe diventata la Silicon Valley. Tra quel sogno e quello di oggi, la continuità è tutta nella bandiera a mezz’asta che troviamo quando andiamo a visitare la sede avveniristica di Page Mill Road. E’ l’11 settembre 2018. Il fil-rouge che lega la storia quasi secolare della HP, è quello dell’American Dream, quella speranza – per citare Wikipedia, così siamo tutti contenti – “che attraverso il duro lavoro, il coraggio, la determinazione, sia possibile raggiungere un migliore tenore di vita e la prosperità economica”.
“We totally believe in Artificial Intelligence”
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La relatrice HP |
E, a ben guardare, ci sarebbe poco altro da aggiungere. Qui nella Silicon tutti puntano tutto sulla AI.
Tutto passerà da lì. L’intelligenza artificiale - che oggi è ancora progetto, domani sarà business e dopodomani sarà vita quotidiana – è “l’abilità dei sistemi informatici di eseguire compiti che normalmente richiedono l’intelligenza umana, come la percezione visiva, il riconoscimento vocale, il processo decisionale e la traduzione tra le lingue”. E a Hewlett Packard, ci credono fino in fondo. "We totally believe in Artificial Intelligence".Uno dei fronti AI su cui la Silicon sta lavorando tantissimo è il cosiddetto self-driving, cioè le auto a guida autonoma, senza pilota. E tra i protagonisti c’è anche l’Emilia-Romagna, dato che Ambarella – una Company di Santa Clara – nel 2015 ha acquisito VisLab, una startup di Parma, nata da uno spin-off dell’Università, che aveva già sviluppato un’auto capace di “guidare da sola” per 13mila km.
Uno che in Silicon ci lavora da 30 anni, mi racconta che di auto senza autista se ne vedono tutti i giorni anche sulle grandi Highway. Chissà se passerebbero indenni la tangenziale di Bologna alle 17,30.
Da grande voglio fare l'astronauta. Anzi, il Data Scientist
Un italiano che lavora a Palo Alto mi dice che suo figlio tra un paio d’anni finirà la high school e poi dovrà decidere cosa studiare all’università: “Farà ovviamente ciò che vorrà, ma il lavoro del futuro è quello di Data Scientist. Chiunque lavorerà nel campo dell’analisi dei dati, o dei big data – chiamali come ti pare – per i prossimi 50 anni il lavoro lo trova di sicuro”.
Uber&Karaoke
Se il futuro è quello del self-driving, il presente a San Francisco (anche in tante altre città, ok) si chiama Uber. L’ho usato diverse volte. Una volta un autista del Kurdistan, poi Algeria, Costa d’Avorio, Messico. Insomma, melting pot on the road. La app ti dice che auto sta per arrivare, la targa, il tempo di attesa, il prezzo (addebitato automaticamente sulla carta di credito), ci mette il nome del taxista, mette proprio la sua foto e anche alcune note caratteriali. Yohanes, ad esempio, veniva indicato come ottimo conversatore e ottima musica. Quel che non ci aveva detto su Hameedullah – ma è stata una bella sorpresa – è che ha un impianto di karaoke in macchina. Appena si parte ti dà un telecomando, così puoi scorrere una lista di migliaia di canzoni da un monitor che è attaccato al cruscotto e, quando hai deciso, parte la musica con le parole che scorrono sul monitor. Ti dà il microfono, e via che si canta con il volume a palla, con lui che canta con te fino a destinazione. E la mancia gliela lasci volentieri.
Ah, appena saliamo individua subito la nostra lingua e ci dice: “My car is a room full of gringos”.
P.S. Nella foto sono con Michael, il mio primo Uber in assoluto da quando ho installato la app. Mi sembrava figo farci un selfie.
Le strade di San Francisco/2
Il traffico di San Francisco è quello che si vede in tv. E non lo si augura a nessuno. A un certo punto il taxista ci dice che “i peggiori guidatori del mondo sono di San Francisco”. Ma io gli rispondo che dice così solo perché non ha mai visto come guidano i veneziani.
La N°1
A Union Square ho trovato un centesimo per terra. L’ho raccolto, perché ho pensato che ero negli Usa e ho pensato a Zio Paperone.
Il vino della California
Mi dicono che San Francisco sia diventata quest’anno la città più costosa del mondo. Più di New York. E che presto toccherà a Seattle salire sul podio. Può darsi, non saprei. Quel che so per certo è che nel bar dell’albergo un bicchiere di vino è costato 16 dollari.
Però noi abbiamo ragione
Mentre a San Francisco aspetto l’aereo che mi porterà prima a New York per uno scalo e poi a Malpensa, leggo su Facebook Daniele Ferrazza, che cita Andrea Purgatori, che dice così:” Nel 2017 i sei colossi del web (Google, Apple, Facebook, Airbnb, Tripadvisor e Uber) con profitti da 10 miliardi ciascuno, hanno pagato in Italia 14 milioni di euro di tasse. Gli autori italiani, 240 milioni. Loro hanno i miliardi, noi abbiamo ragione”
Uno che in Silicon ci lavora da 30 anni, mi racconta che di auto senza autista se ne vedono tutti i giorni anche sulle grandi Highway. Chissà se passerebbero indenni la tangenziale di Bologna alle 17,30.
Da grande voglio fare l'astronauta. Anzi, il Data Scientist
Un italiano che lavora a Palo Alto mi dice che suo figlio tra un paio d’anni finirà la high school e poi dovrà decidere cosa studiare all’università: “Farà ovviamente ciò che vorrà, ma il lavoro del futuro è quello di Data Scientist. Chiunque lavorerà nel campo dell’analisi dei dati, o dei big data – chiamali come ti pare – per i prossimi 50 anni il lavoro lo trova di sicuro”.
Uber&Karaoke
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Con Michael. Uber. |
Se il futuro è quello del self-driving, il presente a San Francisco (anche in tante altre città, ok) si chiama Uber. L’ho usato diverse volte. Una volta un autista del Kurdistan, poi Algeria, Costa d’Avorio, Messico. Insomma, melting pot on the road. La app ti dice che auto sta per arrivare, la targa, il tempo di attesa, il prezzo (addebitato automaticamente sulla carta di credito), ci mette il nome del taxista, mette proprio la sua foto e anche alcune note caratteriali. Yohanes, ad esempio, veniva indicato come ottimo conversatore e ottima musica. Quel che non ci aveva detto su Hameedullah – ma è stata una bella sorpresa – è che ha un impianto di karaoke in macchina. Appena si parte ti dà un telecomando, così puoi scorrere una lista di migliaia di canzoni da un monitor che è attaccato al cruscotto e, quando hai deciso, parte la musica con le parole che scorrono sul monitor. Ti dà il microfono, e via che si canta con il volume a palla, con lui che canta con te fino a destinazione. E la mancia gliela lasci volentieri.
Ah, appena saliamo individua subito la nostra lingua e ci dice: “My car is a room full of gringos”.
P.S. Nella foto sono con Michael, il mio primo Uber in assoluto da quando ho installato la app. Mi sembrava figo farci un selfie.
Le strade di San Francisco/2
Il traffico di San Francisco è quello che si vede in tv. E non lo si augura a nessuno. A un certo punto il taxista ci dice che “i peggiori guidatori del mondo sono di San Francisco”. Ma io gli rispondo che dice così solo perché non ha mai visto come guidano i veneziani.
La N°1
A Union Square ho trovato un centesimo per terra. L’ho raccolto, perché ho pensato che ero negli Usa e ho pensato a Zio Paperone.
Il vino della California
Mi dicono che San Francisco sia diventata quest’anno la città più costosa del mondo. Più di New York. E che presto toccherà a Seattle salire sul podio. Può darsi, non saprei. Quel che so per certo è che nel bar dell’albergo un bicchiere di vino è costato 16 dollari.
Però noi abbiamo ragione
Mentre a San Francisco aspetto l’aereo che mi porterà prima a New York per uno scalo e poi a Malpensa, leggo su Facebook Daniele Ferrazza, che cita Andrea Purgatori, che dice così:” Nel 2017 i sei colossi del web (Google, Apple, Facebook, Airbnb, Tripadvisor e Uber) con profitti da 10 miliardi ciascuno, hanno pagato in Italia 14 milioni di euro di tasse. Gli autori italiani, 240 milioni. Loro hanno i miliardi, noi abbiamo ragione”