“La
democrazia diretta è un’
illusione. Il
MoVimento 5 Stelle deve trovare dei meccanismi di strutturazione intermedia. In sostanza,
deve diventare un partito. Se rifiutano di farlo, rischiano di rimanere con una candela spenta in mano”. Non fa sconti alle ambizioni di Grillo, Piergiorgio Corbetta, direttore di ricerca dell’Istituto Carlo Cattaneo, ma il suo è un punto di vista di chi il M5S lo conosce davvero da vicino. Autore, con Elisabetta Gualmini, de “Il partito di Grillo” (Il Mulino), Corbetta analizza il traguardo (ormai vicinissimo) dei primi cento giorni del M5S in Parlamento, e non mancano le sorprese: il MoVimento mostra tutti i segni tipici del
web-populismo, zavorrato anche dalla novità “
fasulla e deludente” della rete, e Grillo, per mantenere stretto a sé il proprio elettorato, potrebbe persino pensare di cedere a future alleanze, senza sottovalutare il malcontento che cova tra i suoi parlamentari, tentati in parte di abbandonare la partita. E, sullo sfondo, la possibilità di
intercettare i voti dei
delusi dal Pd.
Professor Corbetta, di solito i primi cento giorni di un progetto politico dicono molto sulla capacità di tenuta del progetto stesso. Il “post-urne”, in vista di questo traguardo, sembra fotografare un momento di stallo per il MoVimento 5 Stelle.
Il post urne è condizionato dalle urne, nel senso che Grillo ha le mani legate dal suo elettorato. È rimasto completamente bloccato da un eccesso di successo. Ha vinto troppo.
Ha vinto troppo?
Si, troppo rispetto agli obiettivi. Aveva in mente un partito di controllo, che sarebbe una funzione assolutamente nobile nell’ambito della politica italiana. Lo aveva dichiarato in maniera chiara: «Quando andremo in Parlamento non ci metteremo a destra, non ci metteremo a sinistra, ma ci metteremo dietro per controllare quello che fanno i governanti e l’opposizione». Questo, dato l’esito del voto, non è stato possibile. Lo avrebbe potuto fare se avesse avuto il 15%. Ma, avendo il 25%, è diventato condizionante e indispensabile per gli accordi governativi. Da questo contesto non si esce e Grillo, tirandosi indietro, congela la situazione.
In sostanza, Grillo non vuole deludere il suo elettorato, ma così facendo mette il MoVimento in un vicolo cieco.
Proprio così, ma la situazione non può comunque durare. Non va mai dimenticato che l’elettorato di Grillo ha tre caratteristiche principali che ne hanno determinato, allo stesso tempo, il successo e la debolezza: non ha radicamento territoriale, è trasversale alle classi sociali e, sostanzialmente, prende voti in tutto lo spettro politico. Grillo raccoglie quindi il voto di protesta generalizzato, ma non può trasformarlo in proposta. Faccio un esempio per capirci: se lui prende il voto di chi si lamenta delle tasse, ma anche quello di chi si lamenta perché il Comune o lo Stato tagliano i servizi del welfare, è evidente che quando si tratta di decidere una politica, o scontenta gli uni o scontenta gli altri. È il dilemma di tutti i partiti populisti, che sono – per ricognizione storica - partiti che ottengono consenso su tutto l’arco dell’elettorato da ogni punto di vista (generazionale, sociale, territoriale), e che però poi, proprio per questo motivo, sono incapaci di fare una proposta politica.
La sensazione, però, è che la rappresentanza parlamentare del MoVimento stia cercando di “cambiare pelle” per adattarsi ai meccanismi istituzionali, provando a dare risposta alle istanze del proprio elettorato. O c’è invece la possibilità che Grillo perda la grande occasione di rappresentare questo voto di massa?
Non lo so. Dipende dal contesto esterno, in primis dall’economia. Ripartirei dal dato delle urne: è chiaro che Grillo ha preso troppi voti. Di quel 25% - diamo una stima grossolana - il 15% sono suoi elettori, il 10% sono in più. Questo 10% di persone che hanno votato per vedere “cosa avrebbero combinato i nuovi”,
probabilmente li ha già perduti. È questa situazione di autoestraniazione dalla politica nazionale che, certamente, gli fa perdere molti voti. Molti. Però è chiaro che se, andando avanti, il governo non riesce a garantire risultati perché le tensioni lo paralizzano; o se la situazione economica peggiora o addirittura precipita, il MoVimento potrebbe catturare nuovo elettorato, ad esempio intercettando anche gli elettori di sinistra contrari all’inciucio. Questo potrebbe portare a un’eventuale compensazione tra voti persi e nuovi voti acquisiti. La mia impressione, ma è pura impressione, è che non ce la farà a mantenere questo consenso.
Rimanendo a livello di impressioni, si è capita in questa prima fase parlamentare quale sia l’idea di Paese del MoVimento?
Secondo me non ha un’idea del Paese. Ha un’idea della rappresentanza politica. C’è questa grande fede nelle capacità di trasformazione della società e della politica da parte della rete. Da questo punto di vista, però, fino ad ora la delusione è totale, perché il web si è dimostrato uno strumento inefficace per la partecipazione politica dell’elettorato, del cittadino.
Le primarie, le quirinarie e le altre consultazioni hanno mostrato una partecipazione bassissima modestissima, inconfrontabile con la partecipazione – ad esempio – delle primarie del Pd. È anche inaffidabile, basti pensare agli attacchi da parte degli hacker. Ed è anche uno strumento opaco, da almeno due punti di vista: da quello del cittadino che partecipa, perché io non posso mai sapere se sei tu che hai partecipato alle parlamentarie via web o se è stato tuo figlio o tua sorella o un genitore o un anziano con un nipote che chiede “nonno mi fai usare il computer”? Ed è opaco anche dal punto di vista della gestione, perché non hanno comunicato quanti sono stati effettivamente i votanti alle varie consultazioni. Certamente è uno strumento in fase di rodaggio, ma la novità dovuta all’informatica e alla partecipazione diretta che questa permetterebbe è una novità fasulla e deludente.
Sempre riferendoci all'attuale rappresentanza parlamentare, prima o poi Grillo potrebbe essere tentato da alleanze su specifici punti?
Grillo si è presentato come alternativo in termini radicali e, fino a questo momento, era inevitabile che perseguisse questa linea. Ora, dopo che sono passati alcuni mesi, se in effetti la situazione precipitasse, se effettivamente Berlusconi diventasse per la sinistra un rischio più grande di quanto lo sia stato sinora, e cioè che a un certo punto ci fosse l’eventualità di tornare alle elezioni con la prospettiva che le vinca Berlusconi e che poi possa diventare Presidente della Repubblica; insomma, di fronte a un quadro di questo genere, può anche darsi… Si deve veramente drammatizzare fortemente la situazione politica per pensare che Grillo possa fare qualche cosa.
Tutti questo mesi passati a discutere solo di diarie, rimborsi, di tagli di indennità, un po’ ombelicale, non rischia di essere un elemento di disaffezione della base? Come a dire: mentre il Paese va verso il baratro, voi siete qui a parlare di queste cose.
Certo, c’è il rischio concreto di far disamorare gli elettori che pensano: questi qui non fanno niente dal punto di vista politico, intanto il Paese va a rotoli e questi hanno sprecato il mio voto stando a parlare di diarie. Ma c’è anche il rischio di disaffezione dei propri rappresentanti in Parlamento.
Anche dei parlamentari? Perché?
Sono persone giovani che sono andate in Parlamento a 25-30 anni, ancora alla ricerca di una collocazione professionale. Quando si accorgono che sono in Parlamento e corrono il rischio di stare lì cinque anni, perdendo l’occasione dell’opportunità di una collocazione professionale, senza portare a casa nemmeno, dal punto di vista economico, un qualche cosa di veramente capitalizzabile…
Dice che potrebbero essere tentati di lasciare per questione di soldi?
Guardi, io ho sentito tanti parlamentari che mi dicevano «i parlamentari italiani sono ricoperti d’oro. Se non avessero questo fortissimo stimolo, questa gratificazione pecuniaria, volgarmente pecuniaria, la metà di questi mollerebbe tutto». Per i parlamentari più in vista, per quelli che costituiscono la “leadership” del Parlamento, c’è la soddisfazione, c’è la garanzia di relazioni sociali ecc. Ma per i “peones” è un lavoro noiosissimo, poco gratificante, persino umiliante in alcune situazioni. Un conto è se queste persone portassero a casa 10mila euro al mese, ma se a 30 anni portano a casa 2500 euro, spendendoli tutti per mantenersi a Roma, si corre veramente il rischio che questi dicano: “Ma chi me lo fa fare? Cosa ci guadagno? Cosa porto a casa?”. Lo sappiamo tutti, c’è gente che andata in Parlamento con meno di 100 voti ottenuti alle loro parlamentarie, gente che andata per caso in Parlamento e che spesso non ha una storia o una motivazione ideale molto forte.
Lei pensa che Grillo continuerà ad utilizzare quel linguaggio “contundente” che è stato parte integrante del collante identitario del MoVimento?
Le parole ripetute perdono nerbo. Tutto ciò che c’era di nuovo in Grillo, anche da questo punto di vista, diventa stanca ripetizione. È chiaro che lui deve trovare delle nuove strade se vuole mantenere agganciato a sé questo 25% di elettorato. Il problema vero è che questo è un movimento nato intorno alla sua figura carismatica e lui rifiuta di costruire dei veri corpi intermedi, dei meccanismi. Pensate al caso dei rappresentanti della Camera e del Senato, che dovrebbero ruotare ogni tre mesi: tutto ciò è privo di senso, è illusorio. La democrazia diretta è un’illusione, bisogna trovare dei meccanismi solidi di strutturazione intermedia, bisogna costruire un partito. Se rifiutano di farlo, rischiano di rimanere con una candela spenta in mano.