mercoledì 15 luglio 2020

Datemi quei guanti di cemento


Ho smesso di leggere.
Non proprio.
Quasi smesso, dai. 

Vengo inghiottito dal cellulare.

La scorsa settimana, una sera, ho guardato il video di un tizio che riempiva di cemento due guanti da cucina, ha aspettato 18 ore che il cemento si consolidasse, li ha dipinti con vernice dorata e li ha trasformati in due supporti per un vaso che aveva ricavato da uno straccio, anche questo ricoperto di cemento in modo che si irrigidisse.
Dentro a questo vaso ci ha messo un'anguria, dopo averla svuotata, e ci ha inserito una pianta grassa. Et voilà.

Poi sono rimasto a guardare un altro tizio che ha preso degli scatoloni di polistirolo dentro cui, fino a poco prima, c'era del pesce destinato al mercato di non so quale città asiatica. Li ha tagliati e rimodellati, li ha cosparsi di una vernice impermeabilizzante e ne ha ricavato una piscina (difettosa) per il figlio, piazzandola su un terrazzino, con grande effetto a cascata verso l'incazzosissimo inquilino al piano di sotto.

Ho visto una rissa tra camionisti russi con intervento finale della polizia, una serie di incidenti autostradali, qualche aereo che atterrava sfidando un vento impossibile, un elefante salvato da una pozza di fango in cui era caduto, una tizia giapponese che affettava un cavolfiore con un coltello che nel frattempo emetteva dei suoni armonici sulla base della velocità del taglio.

Non volendo rassegnarmi all'idea di essermi totalmente rincoglionito, ho provato a dare una giustificazione teorica a questa mia deriva da azzeramento neuronale, a trovarci un senso, a sentirmi sulla stessa barca insieme a tanti altri, a trovare quel mezzo gaudio in mezzo a questo mal comune che è il rincoglionimento da smartphone.

L'ho trovata in un libro che, mooooolto faticosamente, leggo da qualche mese ("Scansatevi dalla luce. Libertà e resistenza nel digitale", di James Williams, un ex strategist di Google).
È una fatica titanica leggerlo, perché dopo mezza pagina sento lì di fianco, nel cellulare posato sul comodino, il richiamo della foresta digitale.
Sento che ci sarà sicuramente un tizio che sta sfondando la vetrina di un parrucchiere con l’Apecar, o quel cane che dorme e sogna di correre, o un’asse da stiro trasformata in appoggio per stendercisi sopra e infilarsi sotto al lavandino per sturarlo. Come posso perdermeli?

Williams, nel suo saggio, squaderna questa teoria: siamo immersi in una rivoluzione digitale in cui una costante "persuasione sofisticata", veicolata dai meccanismi dei social, si allea con una "tecnologia sofisticata" per spingere gli obiettivi più insignificanti possibili direttamente dentro le nostre vite.

Niente di nuovo sotto il sole, solo un aggiornamento della millenaria questione dell’omologazione. Con qualche variante.

Provo a dirla con il gomito appoggiato sul bancone del bar, così è più semplice: non siamo più capaci di prestare attenzione a ciò che ci interessa, ma solo a ciò che ci viene "imposto" come desiderio.
Un desiderio compulsivo, che – pur sfaccettato in mille categorie merceologiche mentali come l’oceano di cazzate dei social – sostanzialmente riconduce a un ridottissimo quadro di sogni prêt-à-porter.
Ma quelli. E solo quelli.
Che partono dai guanti riempiti di cemento e arrivano alle praterie del consenso politico.

Non abbiamo più desideri nostri, siamo solo compulsione eterodiretta (wow, siamo nel giardino semantico in cui potrebbe passeggiare Recalcati).

E l'interruttore di questa compulsione, in sostanza del meccanismo che dirige la nostra attenzione in una direzione o l’altra  ha un nome che conosciamo benissimo: le notifiche.

Williams dice che le "distrazioni funzionali" - quelle che ci distraggono dai nostri veri desideri e ci incanalano in un mainstream che non corrisponde ai nostri veri sogni -  le distrazioni funzionali, dice, "arrivano comunemente grazie alle notifiche". 

Calmi. Siamo solo al primo passaggio. Più tardi viene il bello.

Qualche numero che mi riguarda.
Sul mio Samsung S9 Plus ho una sezione che si chiama "Benessere digitale". In pratica mi dice quanto tempo sono stato connesso e mi elenca una serie di dati.
La scorsa settimana ho ricevuto 4055 notifiche, in gran parte concentrate tra Whatsapp e Facebook  oltre che da gmail, instagram, telegram, twitter. Ma principalmente le prime due.
Mi dice anche che ho sbloccato lo smartphone con l'impronta digitale 1199 volte. 1200, via.
Mi rendo conto, però, che io sblocco il cellulare anche quando non ho notifiche, quasi a chiedermi: beh? Nessuna notifica? Quasi un riflesso pavloviano anche in mancanza dello stimolo.
Non solo. Sono molto distratto, molto più di qualche anno fa (e partivo da un livello che non raccomanderei a nessuno, capace di fare tre volte la stessa domanda senza ascoltare la risposta, per capirci).

Ma cosa c’entra l’alto numero di notifiche con il fatto che non riesco più a leggere?

Anche qui Williams mette nero su bianco un filo logico che mi vorrei tatuare: “L'esposizione a notifiche ripetute può generare abitudini che allenano l'utente a interrompersi anche in assenza degli stessi dispositivi tecnologici. Tendiamo a sottovalutare i danni delle distrazioni funzionali a causa della minuscola misura della loro influenza".
Impossibile concentrarsi sulla lettura, quindi. Siamo (io sono) dentro un mood costante di notifiche che ci accompagna anche quando le notifiche non ci sono.

Pausa, prima del gran finale:
- Le notifiche che ricevo riguardano al 75% il lavoro. 
- Quando sblocco il cellulare dopo la notifica, risolvo la notifica, ma penso: beh dai, un’occhiatina al volo a Facebook, Instragram, alle chat di whatsapp, Repubblica, il Post, Lercio, le webcam della Pusteria, Cristiano Ronaldo, i post di Beppe Cottafavi, TML, Osho, Commenti Memorabili, Severo ma giusto. Risucchiato a caduta libera nel pozzo.
- Sentirsi un tossico. Proprio lo stesso meccanismo, ma non per modo di dire.

E siamo al dunque.
“Tuttavia – aggiunge Williams -  come scrive il filosofo Matthew Crawford, ‘la distraibilità può essere considerata l'equivalente mentale dell'obesità’. Da questa prospettiva, le distrazioni funzionali individuali possono essere viste come delle singole patatine".
Ci distraiamo – perché tutto è organizzato (spoiler: non sono complottista, è solo per farmi capire) per farci distrarre, per non mettere in campo la nostra attenzione – e vogliamo continuare ad essere distratti in una compulsività che si avvita e si autoalimenta.
Essere tossici. Essere obesi.

Mi distraggo, quindi non penso, quindi non sono.
Un calembour cartesiano per dire che ci stiamo tutti omologando al ribasso cognitivo, un meccanismo che raccoglie nel recinto del web le macrocategorie di un neo-pensiero unico (apparentemente iperstrutturato) a cui ci atteniamo tutti, in cui anche un banalissimo paio di guanti da cucina riempiti di cemento a far da supporto a un vaso-anguria conferma il funerale della nostra libera attenzione (della mia sicuramente), a favore di un mega-tunnel di contenuti preinscatolati, scambiati per praterie di libertà. Poi su questo vorrei tirare in ballo anche la tesi di Baricco in The game, sostanzialmente sovrapponibile, ma l'ho fatta già abbastanza lunga.

Non vi ho convinti.
In effetti è che semplicemente mi piace cazzeggiare su Facebook, ma con questo spiegone sembra più accettabile.






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