venerdì 10 luglio 2015

Lasciate morire il piccolo Marco


Non si sopravvive alla morte dei figli. Si aspetta solo di morire. E nel frattempo si muore dentro. Tutti i genitori sanno che è così.
Ma il piccolo Marco, 4 anni, caduto nella tromba di un ascensore nella metro di Roma, non è ancora morto. Lo trattengono qui, in un modo che annichilisce l'animo, le parole di Roberta Lombardi, la deputata del Movimento 5 Stelle che ieri, a pochi minuti dalla tragedia - una tragedia immane, inimmaginabile per la vastità del dolore - già distribuiva le colpe a destra e a manca, a Alemanno e a Marino, agli avversari politici, colpevoli del degrado di Roma, di cui l'incidente dell'ascensore sarebbe il paradigma. Lo faceva dal buco della serratura di Facebook, vomitando un giudizio gelido mentre il corpo di Marco era ancora caldo e straziato dal volo.
E in quelle parole così povere d'animo, così sature di indifferenza, che si affacciano su un abisso di cinismo nero, Marco non riesce ad andarsene. Non riesce ad andarsene accompagnato dal dolore incolmabile della mamma, del papà. No, rimane qui, trattenuto dalla merda del dibattito pubblico, che lo trasforma in fantoccio politico, sbattuto qua e là come oggetto del contendere, facendolo cadere in quella tromba dell'ascensore ancora una volta, e un'altra, e poi ancora, ancora, ancora, fino a svuotare quel corpo del diritto di un dolore privato, restituendolo alle pagine di Facebook come manichino su cui esercitare l'esercizio del consenso. 

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