giovedì 22 gennaio 2015

Gomorra: quando il linguaggio è pura artiglieria

"Derrière une forme de poésie, c’est un vrai langage d’artillerie". "Dietro una forma di poesia, c'è un vero e proprio linguaggio d'artiglieria".
Su Le Monde Roberto Saviano commenta la scelta di mantenere il dialetto napoletano come lingua "ufficiale" della serie televisiva "Gomorra".  

domenica 11 gennaio 2015

Da Charlie Hebdo a Utoya: la debolezza psicologica dei maschi-killer


Spesso dietro tragedie come quella di Charlie Hebdo o Utoya, per citare due tra le più note degli ultimi anni, si nasconde qualcosa di banalmente terrificante: la debolezza del profilo psicologico dei killer, persone che imbracciano le armi come compensazione a delusioni personali, ammantando poi la loro scelta di riferimenti religiosi e identitari, ritrovando in queste scelte estreme di appartenenza identitaria la sicurezza mai trovata nelle loro vite quotidiane.
Joan Smith, columnist dell’Independent, tratta con lucidità questo tema, mettendo poi in rilievo un elemento determinante e cioè che  i killer  in questa tipologia di eventi sono sempre e solo maschi e suggerisce: “La maggior parte degli uomini non va fuori nelle strade a uccidere la gente, tranne in guerra, perciò dobbiamo capire con urgenza perché questi uomini sono differenti”.

domenica 4 gennaio 2015

Quella fantastica mummia di Dino Zoff

Saracinesca. Se c'è un caso in cui l'abusatissimo termine di paragone per un portiere si addice al caso, beh, questo è il caso di Dino Zoff.
Portiere della Nazionale per 15 anni, con un record di imbattibilità di 1142 minuti consecutivi, vincitore con la Juventus di 6 scudetti, 2 Coppe Italia e 1 Coppa Uefa. Con la Nazionale ha vinto un Europeo e, ça va sans dire, il Mondiale del 1982, alla veneranda età di 40 anni e 133 giorni.  Da allenatore (della Juve) ha vinto 1 Coppa Italia e una Coppa Uefa, guidando poi la Nazionale alla finale degli europei del 2000, piegandosi solo al celebre golden gol con cui David Trezeguet regalò la vittoria alla Francia.

Insomma, un monumento. Ma ditelo piano, anzi, non diteglielo, visto che - a sentire lui - non è stato poi tutto 'sto granché: "La verità è che ho vinto qualche coppa, ho battuto molti record, ma non ho lasciato il segno, e il tempo si porterà via tutto, come una folata di vento in autunno spazza le foglie del parchetto sotto casa, dove adesso gioca a palla mio nipote".
Quasi un (auto)epitaffio, quello di Dino Zoff, scritto nero su bianco a pagina 135 nel bellissimo "Dura solo un attimo la gloria", l'autobiografia del più grande portiere nella storia del calcio italiani (Mondadori, 2014).

La verità va ricercata in quello che è il vero fil-rouge di tutto il libro: il carattere di Zoff, quello che Zoff stesso definisce la "friulanità", una super-sintesi tra rigore personale, autodisciplina, vocazione al silenzio e massima serietà nelle relazioni personali e professionali, frutto dell'educazione familiare (del padre, principalmente) e del contesto territoriale.
Un atteggiamento che tra i pali gli ha permesso di diventare il mito che tutti conosciamo, ma che fuori dallo stadio lo ha portato (come scelta) a un isolamento progressivo e a circondarsi di pochissimi amici con cui ha un rapporto di empatia pura, e - ovviamente - a godere della ristretta cerchia familiare, in primis gli adorati nipoti. Via dalla folla, via dalle falsità, dalle mode, dal rumore, da tutto quello che non somiglia al mondo ideale a cui il campione friulano ha sempre puntato.

Un rigore che nel libro è sottolineato da tantissimi episodi, tra cui è illuminante il dialogo con Mario Soldati:
"Eh Zoff, ma lei lo sa di essere un cavaliere dell'Ottocento?"
"No, non lo so. Però, ora che ci penso, deve essere per questo che nel Duemila non vado d'accordo con nessuno".

In realtà le persone con cui andava d'accordo c'erano, eccome: Scirea, Bearzot, Burgnich, Facchetti: "Tarcisio Burgnich, 'la roccia', era un uomo della stirpe dei silenziosi. Tra me, lui, Scirea, Bearzot e Facchetti, era una gara a chi parlava meno - scrive Zoff - Se dovessi cercare un filo che leghi tutti gli episodi  e gli uomini importanti della mia vita, i miei compagni di viaggio, da mio padre a mio nipote, da Bearzot a Scirea, di certo questo filo sarebbe il pudore, il pudore delle parole".

Un pudore che raggiunge l'apoteosi nella leggendaria notte di Madrid, nell'immediato dopo-partita della conquista del Mundial, quando ci si immagina la squadra lanciata come un missile verso festeggiamenti senza freni, E invece no, non per Zoff: "Cosa fecero gli altri non lo so, io e Scirea ci chiudemmo nella nostra stanza ad assaporare il momento, nell'unico modo che ci era consono: in silenzio".

Tetragono, integerrimo, Zoff mastica amaro per non essere riuscito in qualche modo a cambiare il calcio italiano, a renderlo serio, immune da tentazioni di cambiamenti perenni per seguire le mode del momento. Insomma, abbasso il calcio-champagne, evviva il calcio, quello vero (e unico).
Un amaro che, in qualche caso, lascia spazio al sarcasmo, come nel caso della classifiche stilate dalla Fifa o altri organismi per individuare i migliori calciatori del secolo, o del decennio o di mille altre combinazioni possibili ("gli espertoni messi insieme dalla Fifa", se la ride Zoff).

E irrompe naturalmente Pertini, dalla partita a scopone sull'aereo che li riportava a Roma dopo la vittoria, sino ai festeggiamenti ufficiali nella capitale: "Che uomo questo Pertini! Solare, luminoso, potente. Per celebrare il trionfo spagnolo ci vuole tutti a pranzo al Quirinale. <<Voglio alla mia sinistra Bearzot e alla mia destra Zoff, poi tutti i calciatori. I ministri? Se trovano posto bene, altrimenti vadano al ristorante>>.

Il libro si divora con piacere, dagli esordi all'Udinese alle successive avventure a Mantova e Napoli, dalla Juve alla nazionale, i rapporti con i compagni e le vicende familiari, la nonna e gli avvenimenti (severi) dell'infanzia, la passione per i motori e l'amicizia con scrittori, intellettuali e artisti (tra cui Nini Rosso e Mario Soldati), l'Avvocato e la tragedia di Gaetano Scirea, 170 pagine che scivolano in un attimo e che si chiudono con un'insospettabile autoironia che, unita a tutto il resto, restituiscono al lettore uno Zoff molto più malleabile di quanto lui stesso non voglia apparire:

Tardelli adesso si vendica: mi chiama a casa e quando risponde mia moglie Anna le dice cose tipo: "Ciao Anna. hai tolto le bende?" "Quali bende, scusa?" "Quelle di Dino, la mummia"