sabato 27 giugno 2015

Buongiorno amici stranieri



Questa mattina, in uno dei tanti gruppi italiani su Facebook contro gli stranieri, il post iniziale della giornata diceva: buongiorno amici italiani. Mi è sembrato un saluto fuori dalla storia, prima ancora che razzista. Lo pensavo mentre aiutavo mia moglie a rifare il letto e notavo che le lenzuola erano Made in Pakistan, ma anche mentre indossavo la giacca, rigorosamente prodotta in Cina, nonostante il brand italianissimo. Scendendo le scale di casa ho incrociato Youssouf, che abita al piano di sopra e proviene dal Ghana, che mi saluta mettendo la mano sul petto e tutte le sere mi suggerisce di mettere l'auto in garage, altrimenti qualche malintenzionato potrebbe rubarmela. L'auto, già, la mia Dacia, un marchio rumeno, prodotta in Portogallo, ma con il motore francese. E sotto casa ho salutato la bimba della coppia di moldavi che abita di fronte a noi. Il padre della bimba una volta mi ha preso per il culo in una maniera formidabile, dicendo che pochi italiani lavorerebbero nello smaltimento dell'amianto, come fa lui. Scherzava, ma mica tanto. 
E penso alla birra che compero sempre ghiacciata nel negozio dei pakistani qui dietro l'angolo (aperto fino alle 23) quando torno con le pizze fumanti. Mi rilascia sempre lo scontrino. O all'orlo ai pantaloni che una giovanissima coppia di cinesi in centro ti fa nel giro di poche ore (scontrino: idem come sopra). O all'ironia spiazzante e meravigliosa degli amici di colore o albanesi delle mie figlie, che si urlano reciprocamente "negro" e "albanese" quando fingono di menarsi. O alla gelataia polacca che mi chiede se voglio qualche cono vuoto da portare a casa e poi raddoppia il numero che le ho chiesto. E al pizzaiolo del Montenegro che introduce delle varianti alla margherita quando andiamo lì a mangiare, ma anche l'oste egiziano in centro non scherza, e secondo me sa anche qualche parola in dialetto modenese. 
Uno dei più simpatici è comunque un russo, che ha fatto parte dell'esercito. Ci incontriamo alla panetteria e le storie che mi racconta sono sempre più interessanti delle mie (ci vuole poco, lo so). Ci interrompe solo il suono dei cellulari, americano il suo, cinese e finlandese i miei. O Paula, un'argentina solare che tra Roma e Bologna lavora per una multinazionale, manager appassionata anche di politica. O alle migliaia di studenti stranieri che studiano nelle università dell'Emilia-Romagna, che provengono da almeno 70 nazioni diverse e che fanno un bel po' di casino nelle residenze universitarie quando hanno qualcosa d festeggiare, ma sono giovani, va bene così. O gli operai marocchini che mi hanno sistemato il terrazzo che non reggeva più l'acqua, per non parlare dell'inserviente colombiana all'ospedale di Baggiovara, così gentile con tutti i pazienti: indipendentemente dal passaporto, naturalmente.