giovedì 30 maggio 2013

Se il duo Benji & Fede umilia Grillo e le vaghe idee sui 16enni...

La distanza ABISSALE della politica dai giovani sta - tra i tanti esempi possibili - nella proposta di Grillo di abbassare l'età del voto ai 16enni, quantomeno per votare ai referendum.
Il post più popolare di Grillo, oggi, quello dedicato ai "maestrini dalla penna rossa", prende circa 1.100 "mi piace".
Federico Fede Rossi, uno dei due componenti del duo-idolo modenese Benji & Fede (superstar tra i 16enni, chiedete nei corridoi delle scuole superiori di tutta la provincia...), ne prende quasi 40mila per un semplice video dal titolo "ti voglio bene mamma <3" in cui canta in auto in compagnia della mamma, atterrita dalla guida del popolarissimo figlio.
Si, si, è vero, sono "solo" numeri, è "solo" web.
Ma i giovani, sul web, ci vivono.
Questo per dire alla politica (tutta la politica): quando si dice conoscere i giovani
Ah, per favore, non tirate in ballo il disimpegno dei ragazzi, perché i casi sono due: o non avete figli, e non avete idea di come giri il mondo; oppure siete di quelli convinti che a 16 anni si debba essere bruciati dalla passione politica, ma a quell'età - per fortuna - ben altre sono le passioni che bruciano.


giovedì 23 maggio 2013

Camposanto, una proposta per la memoria del sisma




















Nel piazzale vuoto che si intravvede dietro al citofono, una volta sorgeva lo stabile che ospitava nido, elementari e medie di Camposanto, in provincia di Modena. Lesionato dal sisma del 2012, è stato abbattuto.
In termini di identità collettiva, è come se a Roma venisse abbattuto il Colosseo. L'unica cosa rimasta in piedi è la colonnina con il citofono, su cui sono ancora leggibili le etichette dei campanelli della scuola media e della scuola elementare. L'ho fotografata ieri sera, mentre passeggiavo per le vie del centro, qualche minuto prima di entrare alla sala polivalente Ariston, dove ho moderato il dibattito tra i candidati sindaco per le elezioni che si terranno domenica 26 maggio.
Certi dettagli che rivelano la quotidianità delle relazioni di un paese, come nel caso dei campanelli ritratti nella foto, hanno una forza narrativa potentissima, perché raccontano la vita reale.
Se questa colonnina potesse in qualche modo essere protetta e rimanere lì a testimonianza di quanto successo, forse sarebbe un'operazione di mantenimento della memoria più efficace di qualunque monumento.

mercoledì 22 maggio 2013

"Il Movimento 5 Stelle? O diventa un partito, o finisce qui". A colloquio con Piergiorgio Corbetta

“La democrazia diretta è un’illusione. Il MoVimento 5 Stelle deve trovare dei meccanismi  di strutturazione intermedia. In sostanza, deve diventare un partito. Se rifiutano di farlo, rischiano di rimanere con una candela spenta in mano”.  Non fa sconti alle ambizioni di Grillo, Piergiorgio Corbetta,  direttore di ricerca dell’Istituto Carlo Cattaneo, ma il suo è un punto di vista di chi il M5S lo conosce davvero da vicino. Autore, con Elisabetta Gualmini, de “Il partito di Grillo” (Il Mulino), Corbetta analizza il traguardo (ormai vicinissimo) dei primi cento giorni del M5S in Parlamento, e non mancano le sorprese: il MoVimento mostra tutti i segni tipici del web-populismo, zavorrato anche dalla novità “fasulla e deludente” della rete, e Grillo, per mantenere stretto a sé il proprio elettorato, potrebbe persino pensare di cedere a future alleanze, senza sottovalutare il malcontento che cova tra i suoi parlamentari, tentati in parte di abbandonare la partita. E, sullo sfondo, la possibilità di intercettare i voti dei delusi dal Pd.

Professor Corbetta, di solito i primi cento giorni di un progetto politico dicono molto sulla capacità di tenuta del progetto stesso. Il “post-urne”, in vista di questo traguardo, sembra fotografare un momento di stallo per il MoVimento 5 Stelle.
Il post urne è condizionato dalle urne, nel senso che Grillo ha le mani legate dal suo elettorato.  È rimasto completamente  bloccato da un eccesso di successo. Ha vinto troppo.

Ha vinto troppo?
Si, troppo rispetto agli obiettivi.  Aveva in mente un partito di controllo, che sarebbe una funzione assolutamente nobile nell’ambito della politica italiana. Lo aveva dichiarato in maniera chiara: «Quando andremo  in Parlamento non ci metteremo a destra, non ci metteremo a sinistra, ma ci metteremo dietro per controllare quello che fanno i governanti e l’opposizione». Questo, dato l’esito del voto, non è stato possibile.  Lo avrebbe potuto fare se avesse avuto il 15%. Ma, avendo il 25%, è diventato condizionante e indispensabile per gli accordi governativi.  Da questo contesto non si esce e Grillo, tirandosi indietro, congela la situazione.

In sostanza, Grillo non vuole deludere il suo elettorato, ma così facendo mette il MoVimento in un vicolo cieco.
Proprio così, ma la situazione non può comunque durare. Non va mai dimenticato che l’elettorato di Grillo ha tre caratteristiche principali che ne hanno determinato, allo stesso tempo, il successo e la debolezza:  non ha radicamento territoriale, è trasversale alle classi sociali e, sostanzialmente, prende voti in tutto lo spettro politico. Grillo raccoglie quindi il voto di protesta generalizzato, ma non può trasformarlo in proposta. Faccio un esempio per capirci: se lui prende il voto di chi si lamenta delle tasse, ma anche quello di chi si lamenta perché il Comune o lo Stato tagliano i servizi del welfare, è evidente che quando si tratta di decidere una politica, o scontenta gli uni o scontenta gli altri. È il dilemma di tutti i  partiti populisti, che sono – per ricognizione storica -  partiti che ottengono consenso su tutto l’arco dell’elettorato da ogni punto di vista (generazionale, sociale, territoriale), e che però poi, proprio per questo motivo, sono incapaci di fare una proposta politica.


La sensazione, però, è che la rappresentanza parlamentare del MoVimento stia cercando di “cambiare pelle” per adattarsi ai meccanismi istituzionali, provando a dare risposta alle istanze del proprio elettorato.  O c’è invece la possibilità che Grillo perda la grande occasione di rappresentare questo voto di massa?
Non lo so.  Dipende dal contesto esterno, in primis dall’economia. Ripartirei dal dato delle urne: è chiaro che Grillo ha preso troppi voti.  Di quel 25% - diamo una stima grossolana - il 15% sono suoi elettori, il 10% sono in più. Questo 10% di persone che hanno votato per vedere “cosa avrebbero combinato i nuovi”,
probabilmente li ha già perduti. È questa situazione di autoestraniazione dalla politica nazionale che, certamente, gli fa perdere molti voti. Molti. Però è chiaro che se, andando avanti, il governo non riesce a garantire risultati perché le tensioni lo paralizzano; o se la situazione economica peggiora o addirittura precipita, il MoVimento potrebbe catturare nuovo elettorato, ad esempio intercettando anche gli elettori di sinistra contrari all’inciucio. Questo potrebbe portare a un’eventuale compensazione tra voti persi e nuovi voti acquisiti. La mia impressione, ma è pura impressione, è che non ce la farà a mantenere questo consenso.

Rimanendo a livello di impressioni, si è capita in questa prima fase parlamentare quale sia l’idea di Paese del MoVimento?
Secondo me non ha un’idea del Paese. Ha un’idea della rappresentanza politica.  C’è questa grande fede nelle capacità di trasformazione della società e della politica da parte della rete. Da questo punto di vista, però, fino ad ora la delusione è totale, perché il web si è dimostrato uno strumento inefficace per la partecipazione politica dell’elettorato, del cittadino.
Le primarie, le quirinarie e le altre consultazioni hanno mostrato una partecipazione bassissima modestissima, inconfrontabile con la partecipazione – ad esempio – delle primarie del Pd.  È anche inaffidabile, basti pensare agli attacchi da parte degli hacker. Ed è anche uno strumento  opaco, da almeno due punti di vista: da quello del cittadino che partecipa, perché io non posso mai sapere se sei tu che hai partecipato alle parlamentarie via web o se è stato tuo figlio o tua sorella o un genitore o un anziano con un nipote che chiede “nonno mi fai usare il computer”? Ed è opaco anche dal punto di vista della gestione, perché non hanno comunicato quanti sono stati effettivamente i votanti alle varie consultazioni. Certamente è uno strumento in fase di rodaggio, ma la novità dovuta all’informatica e alla partecipazione diretta che questa permetterebbe è una novità fasulla e deludente.

Sempre riferendoci all'attuale rappresentanza parlamentare, prima o poi Grillo potrebbe essere tentato da alleanze su specifici punti?
Grillo si è presentato come alternativo in termini radicali e, fino a questo momento, era inevitabile che perseguisse questa linea.  Ora, dopo che sono passati alcuni mesi, se in effetti la situazione precipitasse, se effettivamente Berlusconi diventasse per la sinistra un rischio più grande di quanto lo sia stato sinora, e cioè che a un certo punto ci fosse l’eventualità di tornare alle elezioni con la prospettiva che le vinca Berlusconi e che poi possa diventare Presidente della Repubblica; insomma, di fronte a un quadro di questo genere,  può anche darsi… Si deve veramente drammatizzare fortemente la situazione politica per pensare che Grillo possa fare qualche cosa.

Tutti questo mesi passati a discutere solo di diarie, rimborsi, di tagli di indennità, un po’ ombelicale, non rischia di essere un elemento di disaffezione della base? Come a dire: mentre il Paese va verso il baratro, voi siete qui a parlare di queste cose.
Certo, c’è il rischio concreto di far disamorare gli elettori che pensano: questi qui non fanno niente dal punto di vista politico, intanto il Paese va a rotoli e questi hanno sprecato il mio voto stando a parlare di diarie. Ma c’è anche il rischio di disaffezione dei propri rappresentanti in Parlamento.

Anche dei parlamentari? Perché?
Sono persone giovani che sono andate in Parlamento a 25-30 anni, ancora alla ricerca di una collocazione professionale. Quando si accorgono che sono in Parlamento e corrono il rischio di stare lì cinque anni, perdendo l’occasione dell’opportunità di una collocazione professionale, senza portare a casa nemmeno, dal punto di vista economico, un qualche cosa di veramente capitalizzabile…

Dice che potrebbero essere tentati di lasciare per questione di soldi?
Guardi, io ho sentito tanti parlamentari che mi dicevano «i parlamentari italiani sono ricoperti d’oro. Se non avessero questo fortissimo stimolo, questa gratificazione pecuniaria, volgarmente pecuniaria, la metà di questi mollerebbe tutto». Per i parlamentari più in vista, per quelli che costituiscono la “leadership” del Parlamento, c’è la soddisfazione, c’è la garanzia di relazioni sociali ecc.  Ma per i “peones”  è un lavoro noiosissimo, poco gratificante, persino umiliante in alcune situazioni. Un conto è se queste persone portassero a casa 10mila euro al mese, ma se a 30 anni portano a casa 2500 euro, spendendoli tutti per mantenersi a Roma, si corre veramente il rischio che questi dicano: “Ma chi me lo fa fare? Cosa ci guadagno? Cosa porto a casa?”.  Lo sappiamo tutti, c’è gente che andata in Parlamento con meno di 100 voti ottenuti alle loro parlamentarie, gente che andata per caso in Parlamento e che spesso non ha una storia o una motivazione ideale molto forte.

Lei pensa che Grillo continuerà ad utilizzare quel linguaggio “contundente” che è stato parte integrante del collante identitario del MoVimento?
Le parole ripetute perdono nerbo. Tutto ciò che c’era di nuovo in Grillo, anche da questo punto di vista, diventa stanca ripetizione. È chiaro che lui deve trovare delle nuove strade se vuole mantenere agganciato a sé questo 25% di elettorato.  Il problema vero è che questo è un movimento nato intorno alla sua figura carismatica e lui rifiuta di costruire dei veri corpi intermedi, dei meccanismi. Pensate al caso dei rappresentanti della Camera e del Senato, che dovrebbero ruotare ogni tre mesi: tutto ciò è privo di senso, è illusorio. La democrazia diretta è un’illusione, bisogna trovare dei meccanismi solidi di strutturazione intermedia, bisogna costruire un partito. Se rifiutano di farlo, rischiano di rimanere con una candela spenta in mano.

mercoledì 15 maggio 2013

Il giornalismo superficiale che fa crollare la diga del Vajont

Vi do questa notizia: la diga del Vajont non è mai crollata.
La diga era costruita benissimo, ma nel posto sbagliatissimo, cioè a ridosso del monte Toc, inadatto a reggerne la pressione. Che, infatti, franò sul bacino artificiale, creando l'onda che uccise 1917 persone.
E il processo stabilì il dolo: si costruì nonostante si sapesse che lì non si doveva costruire. Punto.
Dire che la diga è crollata, come continuano a fare tanti giornali anche oggi (Vanity Fair, International Business TimeBefan ecc)  in occasione del passaggio del Giro d'Italia in quelle zone, è una leggerezza che umilia il ricordo della tragedia a 50 anni di distanza, proprio perché il fatto che la diga sia lì ancora intatta è l'elemento-chiave di tutta la vicenda.
Nella superficialità della routine giornalistica (senza malafede, sia chiaro, faccio anche io questo mestiere e so che succede e basta) spesso evapora la capacità di utilizzare la memoria come formidabile strumento di identità nazionale, favorendo invece una cialtroneria, anche se involontaria, che rischia di primeggiare come tratto distintivo di questo Paese.

VANITY FAIR
BEFAN


INTERNATIONAL BUSINESS TIME


lunedì 13 maggio 2013

L'omaggio immortale di Stefano Benni al caffè


Tra le pagine infinite che autori di ogni epoca hanno dedicato al caffè, quelle di Stefano Benni rimangono insuperabili. Tratto dalla bibbia di tutti i seguaci di Benni, Bar Sport:


Cristoforo Colombo era stato da poco in America, e appena sbarcato aveva visto gli indigeni che portavano al collo degli strani oggetti di ferro, a forma di cilindro con un piccolo becco. 
Gli indios, nel loro dialetto, li chiamavano «napoletana», o «moka», che voleva dire «macchina-di-ferro-dal-nero-succo-che ti sveglia». Essi tenevano in questi cilindri un liquore denso e scuro, di cui bevevano quantità incredibili.
Cristoforo Colombo volle assaggiarlo e subito disse: «Manca lo zucchero», poi propose una permuta, e si fece dare tre di queste macchine per trecento sveglie. Gli indigeni, soddisfatti, lo chiamarono «Bazuk» (uomo-bianco-che-fa-gli-affari-da-bestia), e fecero un balletto in suo onore.
Colombo tornò in Spagna, e appena giunto alla corte della regina Isabella, si chinò ai suoi piedi con la cuccuma in mano e le fece una grossa macchia sul vestito intarsiato di diamanti. La regina adirata disse: «Que fais?» (cosa fai?) anzi non disse proprio così, comunque da quel giorno la bevanda si chiamò Quefé e poi Caffè, anche se il popolo irriverente insisteva nel chiamarlo Cazzofè. 

mercoledì 8 maggio 2013

Vado al MamBo e chi ti incontro? Gabriele Romagnoli.

Comincio dalle brutte notizie: in questi vent'anni ho letto pochissime volte (e comunque neanche una negli ultimi 15) gli  articoli, gli editoriali, i racconti di Gabriele Romagnoli.
Non so perché, ma immagino che debba essere andata storta una lettura, sapete, tipo quelle mattine che sfogli il giornale al bar, leggi un pezzo, l'attacco non ti prende, perciò passi oltre e stai solo attento a non rovesciare il cappuccino mentre giri pagina. E la volta successiva, di fronte a un pezzo dello stesso autore pensi: "Ah, ok", e tiri dritto.
Ecco qualcosa del genere dev'essere successo anche a me, che ho evitato accuratamente di leggere Romagnoli per anni, ma senza acrimonia, così, per riflesso pavloviano. 
Strano. Stranissimo, se pensi che poi tutti i giornalisti dicono che Romagnoli non puoi non leggerlo, perché è uno di quelli bravi, ma sul serio. Lo dicono tutti. Tutti.
Eppure io sono riuscito a fare senza, per anni.

Le buone notizie, almeno per me, sono iniziate qualche settimana fa al MamBo, il Museo d'arte moderna di Bologna, dove stavamo festeggiando all'ora dell'aperitivo il compleanno di Giovanni, un amico.
Sul tavolo arrivano due regali, due libri, tutti e due "Zero zero zero" di Saviano. 
Giovanni ride per la scarsa fantasia degli amici, noi anche. Una copia la tiene, l'altra ce la restituisce e chiede, se possibile, di avere in alternativa l'ultimo album dei Depeche Mode (che continuano a fare ottime cose).
Ma tutto prende la piega inaspettata in tempi rapidissimi quando, messi da parte i libri, Giovanni mi dice: "Sai cosa sto leggendo? Un libro su quella vicenda di quel commercialista bolognese che ha ammazzato quella signora. Lo ha scritto coso, dai, come si chiama. Tu che sei un giornalista lo conoscerai di sicuro". 
"Ah" - replico io - il libro di Romagnoli. Ho visto che ne parlavano i giornali". 
Lui ne parla per qualche secondo, ma poi il suo racconto si concentra tutta sulla figura della madre del commercialista, che è stata sua insegnante. Per venti minuti va in scena una narrazione che gela e che, progressivamente, si sposta sui contenuti del libro di Romagnoli, in cui emergono i dettagli della figura di Andrea Rossi, il protagonista del delitto:  si staglia l'abisso della mancanza di calore reale, della compulsione delle regole, della ritualità ossessiva come cemento fittizio, l'assoluta mancanza dell'humus che fa di una famiglia, appunto, una famiglia.

Passano i giorni e questa vicenda mi rigira tra i pensieri.
Fino a quando, pochi giorni fa, prima di arrivare in stazione, entro da Feltrinelli e chiedo "Domanda di grazia" di Romagnoli. 
Leggerò Romagnoli.
Salgo sul treno, apro il libro, leggo le prime righe e - bam! - precipito all'istante in un'altra dimensione. Vengo risucchiato. Letteralmente inghiottito. Alzo la testa quando intuisco che troppa gente intorno a me sta scendendo e capisco che è passata mezz'ora e che siamo arrivati a Modena, dove vivo, perciò chiudo il libro e scendo.
Lo riapro a casa, precipito di nuovo, sono inchiodato alle pagine, intorno a me si fa il vuoto siderale: siamo io e le pagine del libro. Non mi capitava da anni. 
Lo finisco. 
Mi pare di leggerlo in un unico grande respiro. 
Mi sbalordisce la combinazione perfetta che tiene insieme la lucidità di analisi, la scrittura, l'approccio. Ne parlo a tavola, a mia moglie, alle mie figlie. Ne parlo al lavoro. Leggo alcune frasi ad amici. Ne rileggo alcune tra me e me. Il libro mi entra in circolo.
Mi impressiona l'architettura lineare della scrittura, in grado di sciogliere in poche parole nodi complessi. E sono nodi a più strati, in cui c'è dentro la vicenda che viene narrata, ma c’è anche l’autore, senza difese, che si dà senza filtri. E c’è anche il lettore, che in quella trasparenza può vedere, se ne ha il coraggio, parte del proprio mondo. E' la scrittura-specchio, merce rarissima, che non si piega alle logiche instant del marketing editoriale, ma scende in profondità, dove è richiesto saper guardare senza paura, lì dove di solito si distoglie lo sguardo per quieto vivere. E’ il faro puntato sui micidiali meccanismi routinari che tutto avviluppano e che spesso soffocano ogni cosa nel loro lento ma implacabile avanzare. Fino a quando, bang, tutto salta.

Chiudo il libro e penso che, di Romagnoli, d’ora in poi non mi perderò mai più neanche una parola scritta.

lunedì 6 maggio 2013

Non date Grillo per (virtualmente) morto

Il grafico indica il numero dei commenti pubblicati a commento dei post sul blog di Grillo dal 1 aprile al 5 maggio.
La media dei commenti è scesa da circa 1900 di inizio aprile a 1500. 



Il blog di Grillo batte davvero la fiacca, come si sente dire in questi giorni?
Valentino Tavolazzi, sul suo profilo Facebook, pubblica un post dal titolo "GRILLO E CASALEGGIO CERCASI", ironizzando sul fatto che "Forse sono in vacanza, forse non hanno più niente da dire". E, a sostegno della tesi, prosegue: "Il blog più letto in Italia pubblica il mea culpa di Becchi, che non interessa a nessuno; il gossip sulle mail dei deputati e senatori del M5S e qualche residuo di magazzino, utile per riempire buchi editoriali".
E' davvero così?
Lasciati alle spalle i due mesi più convulsi (diciamo così) per la politica italiana degli ultimi vent'anni, i post sul portale del leader del MoVimento 5 Stelle mostrano certamente segnali di debolezza. Non tanto nella quantità che, rimane sostanzialmente immutata (circa 120 al mese), quanto nel feedback da parte degli utenti.
Mi sono preso la briga di spulciare i 121 post pubblicati dal 1 aprile al 5 maggio e, dal punto vista statistico, i segnali sono lì, evidenti: il trend dei commenti è sceso da circa 1900 per post di inizio aprile a circa 1500 per post di inizio maggio. E' un periodo troppo breve per trarre qualunque tipo di conclusione e so che gli statistici di professione staranno urlando per l'orrore del mio approccio alla questione, ma quello che a me pare emergere è il momento di stanchezza dal punto di vista della partecipazione, come se l'uno-due Napolitano-Letta avesse mandato al tappeto un quarto dei lettori/commentatori del blog.
Sono con ogni probabilità quegli stessi lettori/commentatori che - di fronte alla fine dei giochi dell'assegnazione delle cariche - hanno esaurito la carica, anche emotiva certo, che favoriva la partecipazione quotidiana al dibattito.
Ma un altro elemento che contribuisce a questo scollamento di parte della base è di sicuro la qualità dei post del duo Grillo-Casaleggio. Fuori dall'adrenalinica battaglia per la presidenza della Repubblica e per la formazione del governo, i post virano su temi certamente coerenti con le battaglie del MoVimento, ma certamente meno appassionanti. Non stupisce, per capirci, che da un lato il post Perché hai votato per il M5S? del 3 aprile abbia raccolto quasi 14mila commenti, contro (per fare un esempio) i 216 del post "Diritto di invettiva" del 4 maggio. Nel primo caso si trattava di un post-specchio, iperidentitario e coinvolgente, ricolmo di furore partecipativo. Nel secondo caso, pur ospitando una riflessione su un tema di rilievo, siamo di fronte ai classici argomenti-sponda che contribuiscono certamente al consolidamento della base, ma - mettiamola così - la prendono un bel po' alla larga.
Con ogni probabilità l'effetto-soufflé nella partecipazione online riguarda tutti i siti di dibattito politico, che pagano in termini di feedback l'inevitabile relax della routine conseguente all'avvio del governo.
Ma è proprio in questi periodi "sottotraccia" che il MoVimento, negli anni, ha saputo creare la propria base, riversandola poi centuplicata sulle piazze reali del Paese: se io fossi un politico, è proprio in questi periodi che seguirei con attenzione il blog di Grillo.