mercoledì 8 maggio 2013

Vado al MamBo e chi ti incontro? Gabriele Romagnoli.

Comincio dalle brutte notizie: in questi vent'anni ho letto pochissime volte (e comunque neanche una negli ultimi 15) gli  articoli, gli editoriali, i racconti di Gabriele Romagnoli.
Non so perché, ma immagino che debba essere andata storta una lettura, sapete, tipo quelle mattine che sfogli il giornale al bar, leggi un pezzo, l'attacco non ti prende, perciò passi oltre e stai solo attento a non rovesciare il cappuccino mentre giri pagina. E la volta successiva, di fronte a un pezzo dello stesso autore pensi: "Ah, ok", e tiri dritto.
Ecco qualcosa del genere dev'essere successo anche a me, che ho evitato accuratamente di leggere Romagnoli per anni, ma senza acrimonia, così, per riflesso pavloviano. 
Strano. Stranissimo, se pensi che poi tutti i giornalisti dicono che Romagnoli non puoi non leggerlo, perché è uno di quelli bravi, ma sul serio. Lo dicono tutti. Tutti.
Eppure io sono riuscito a fare senza, per anni.

Le buone notizie, almeno per me, sono iniziate qualche settimana fa al MamBo, il Museo d'arte moderna di Bologna, dove stavamo festeggiando all'ora dell'aperitivo il compleanno di Giovanni, un amico.
Sul tavolo arrivano due regali, due libri, tutti e due "Zero zero zero" di Saviano. 
Giovanni ride per la scarsa fantasia degli amici, noi anche. Una copia la tiene, l'altra ce la restituisce e chiede, se possibile, di avere in alternativa l'ultimo album dei Depeche Mode (che continuano a fare ottime cose).
Ma tutto prende la piega inaspettata in tempi rapidissimi quando, messi da parte i libri, Giovanni mi dice: "Sai cosa sto leggendo? Un libro su quella vicenda di quel commercialista bolognese che ha ammazzato quella signora. Lo ha scritto coso, dai, come si chiama. Tu che sei un giornalista lo conoscerai di sicuro". 
"Ah" - replico io - il libro di Romagnoli. Ho visto che ne parlavano i giornali". 
Lui ne parla per qualche secondo, ma poi il suo racconto si concentra tutta sulla figura della madre del commercialista, che è stata sua insegnante. Per venti minuti va in scena una narrazione che gela e che, progressivamente, si sposta sui contenuti del libro di Romagnoli, in cui emergono i dettagli della figura di Andrea Rossi, il protagonista del delitto:  si staglia l'abisso della mancanza di calore reale, della compulsione delle regole, della ritualità ossessiva come cemento fittizio, l'assoluta mancanza dell'humus che fa di una famiglia, appunto, una famiglia.

Passano i giorni e questa vicenda mi rigira tra i pensieri.
Fino a quando, pochi giorni fa, prima di arrivare in stazione, entro da Feltrinelli e chiedo "Domanda di grazia" di Romagnoli. 
Leggerò Romagnoli.
Salgo sul treno, apro il libro, leggo le prime righe e - bam! - precipito all'istante in un'altra dimensione. Vengo risucchiato. Letteralmente inghiottito. Alzo la testa quando intuisco che troppa gente intorno a me sta scendendo e capisco che è passata mezz'ora e che siamo arrivati a Modena, dove vivo, perciò chiudo il libro e scendo.
Lo riapro a casa, precipito di nuovo, sono inchiodato alle pagine, intorno a me si fa il vuoto siderale: siamo io e le pagine del libro. Non mi capitava da anni. 
Lo finisco. 
Mi pare di leggerlo in un unico grande respiro. 
Mi sbalordisce la combinazione perfetta che tiene insieme la lucidità di analisi, la scrittura, l'approccio. Ne parlo a tavola, a mia moglie, alle mie figlie. Ne parlo al lavoro. Leggo alcune frasi ad amici. Ne rileggo alcune tra me e me. Il libro mi entra in circolo.
Mi impressiona l'architettura lineare della scrittura, in grado di sciogliere in poche parole nodi complessi. E sono nodi a più strati, in cui c'è dentro la vicenda che viene narrata, ma c’è anche l’autore, senza difese, che si dà senza filtri. E c’è anche il lettore, che in quella trasparenza può vedere, se ne ha il coraggio, parte del proprio mondo. E' la scrittura-specchio, merce rarissima, che non si piega alle logiche instant del marketing editoriale, ma scende in profondità, dove è richiesto saper guardare senza paura, lì dove di solito si distoglie lo sguardo per quieto vivere. E’ il faro puntato sui micidiali meccanismi routinari che tutto avviluppano e che spesso soffocano ogni cosa nel loro lento ma implacabile avanzare. Fino a quando, bang, tutto salta.

Chiudo il libro e penso che, di Romagnoli, d’ora in poi non mi perderò mai più neanche una parola scritta.

1 commento:

  1. Uno legge questo post e poi cosa può da fare? Niente, se non comprare il libro di Romagnoli e leggerlo.

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