sabato 23 gennaio 2016

La solitudine di Stoner (non quello della Ducati)


Prendi un bambino, fagli lavorare la terra da quando ha cinque anni, ingabbia la sua vita nel ciclo ripetitivo e faticoso del lavoro duro dei campi, che crepa le mani dal freddo, che brucia la pelle dal sole, che incurva le spalle e ammazza di fatica, che non conosce dialoghi familiari, che limita l'orizzonte alla scansione dei pasti essenziali e al precipizio nel sonno, per poi ricominciare, sazio nella inconsapevole semplicità della propria condizione.
Poi, a 19 anni, fagli scoprire il sonetto 73 di Shakespeare. 
Ecco l'aria che entra, l'ossigeno ai sogni, orizzonti che si schiudono, mondi interiori che si svelano, l'abbandono della terra, la scelta degli studi universitari, le nozioni che prendono forma, che entrano in circolo, il "sapere" che ti travolge, che ti spalanca il mondo vero, e capisci chi sei, dove sei, dove vorresti andare.
E, nel prendere coscienza di te, improvvisamente anche la consapevolezza di essere solo: "Non aveva amici, e per la prima volta nella vita prese coscienza della solitudine".
La solitudine, intesa come condizione percepita solo se si è abbastanza attrezzati per riconoscerla.
La grandezza intatta di "Stoner", il romanzo di John Williams, scritto nel 1965, ambientato nel 1910, piovuto (dentro la carta regalo) sulla mia scrivania qualche giorno fa. Un magnifico regalo.

sabato 2 gennaio 2016

"E' nel caos che trovo l'ordine della mia mente"


Il mio amico malato di sclerosi multipla, mi scrive: "C’è una canzone dei King Crimson in cui mi sono ritrovato fin dal primo ascolto, quando avevo 16 anni. Epitaph. Le prime parole sembravano parlare di me:”Confusion will be my epitaph…". E' nella confusione che do il meglio di me".

Mi scrive così per parlare dei badanti, delle persone che si prendono cura di lui. 
Quando sei costretto su una sedia a rotelle, e non muovi nient'altro che la testa, tutto si concentra nei pensieri. 

La giornata è tutta incanalata nei pensieri, nei dialoghi, nelle parole. La vita è lì.
E la gente che ti accudisce 24 ore al giorno, non può essere solo qualcuno che si prende cura di te fisicamente. Deve saper trasmettere qualcosa. E deve saper assorbire. Uno scambio, insomma.
Nel libro che il mo amico sta scrivendo per raccontare la sua esperienza, descriverà bene la quotidianità in compagnia di queste persone, persone buone ma non sempre all'altezza del compito, a volte insensibili, o pigre, spesso distanti dall'idea di un coinvolgimento vero.

Ma se fosse un annuncio di lavoro, le sue parole nel messaggio di oggi renderebbero benissimo ciò che cerca:.

"Le persone che vivono con me devono essere stimolanti, devono farmi venire voglia di uscire. Io sono pigro, ho bisogno di persone che mi facciano uscire, devono farmi venire la voglia di muovermi, mi sono comprato anche una macchina per poterlo fare. 
La mia mente vive dei momenti di entropia dovuta alle 1000 esperienze, nozioni, idee, che mi frullano in testa, e trovo sempre il filo conduttore, mentre mi trovo molto male nelle menti vuote come quelle di alcuni badanti, dove il vuoto mi lascia sgomento e incapace di dire qualsiasi cosa. Il caos totale mi esalta, è all’interno di questo che creo e do ordine e assetto alla mia mente, da qui partorisco le mie idee, la mia voglia di misurarmi e interagire con il mondo. E’ nel caos che metto ordine e trovo la ragione e l’ordine della mia mente".