mercoledì 9 agosto 2017

L'incauto pellegrino


Partire per la Via Francigena da San Miniato il 6 agosto alle 10 del mattino, quando il caldo scioglie già l'asfalto e materializzi cosa prova un'aragosta mentre viene tuffata nella pentola per la cottura. 

Sentirsi comunque figo e pronto come un incrocio tra Messner e Vasco da Gama : "Ci vuole altro per scoraggiare un esploratore come me".

Inoltrarmi lungo il paesaggio lunare delle colline senesi con l'aria rovente che trasforma l'acqua nella borraccia in vin brulè. Beh, c'è caldino in effetti.

Incontrare una coppia di residenti settantenni, marito e moglie.
Lui che mi batte la manona sulla spalla: "Ammiro il tu horaggio. Ce ne vole tantissimo pe arrivà a fine tappa hamminando a quest'ora co sto sole e co sto haldo". 
Io, Grande Sprovveduto molto rinco, palleggio con l'ironia e guardo sua moglie: "Ahahaha suo marito mi sta proprio incoraggiando". 
Lei che guarda in basso con colonna sonora di campane a morto e sussurra: "Se ne accorgerà da solo".

Pensare che il cappello sia un inutile optional da turista domenicale e ritrovarsi dopo un paio d'ore con il cranio a temperatura perfetta per la frittura alla sagra della parrocchia.
Indossare il cappello quando i buoi sono già scappati.

Arrivare a fine tappa e perdersi. 
Telefonare al monastero dove alloggerò e spiegare che non trovo l'indirizzo.
Sentirmi dire "Vieni avanti 100 metri e trovi un portone". 
Arrivare, aprire il portone e dire "eccomi". Sentirsi rispondere "Ciao. Ah, oh, scusi, volevo dire buongiorno. Al telefono sembrava giovane, e invece no".

Verso sera metamorfosi della testa in modalità bollitore.
Oki. 
Effetto dell'Oki=zero.

Uscire alla ricerca di qualcosa di fresco da mangiare: frutta. 
Scovare un negozio che, oltre ad armature medioevali, lavanda, teste di cinghiali imbalsamati e salumi ha anche un angolino in cui sono stivate alcune banane, 5 pere e 4 pesche.
Scegliere le pesche sognando il refigerio del primo morso. 
Presentarsi alla cassa. 
L'elettricità che in quel momento esatto manca in TUTTO il paese e il negoziante che dice: "Vabbè, non si possono più fare scontrini, vado a casa". 
Chiude baracca. 
Niente pesche.

Temperatura della calotta cranica vicina all'altoforno.

Ripiegare verso il monastero sognando una doccia gelata. 
Trovare sulla cima delle scale la madre badessa che mi dice: "Hanno tolto l'acqua". 
Buttarla sul filosofico per fare la parte dell'esperto di monasteri e dire: "Beh dai, in fin dei conti è come vivere nel medioevo".
La badessa che mi dà una risposta da lettrice di editoriali di Recalcati: "Mi chiedo come facciano le donne nelle tribù del Ghana con le mestruazioni. Loro dicono che usano le foglie". 
Respirare, girare sui tacchi con discrezione e chiudersi in camera a doppia mandata perché insomma.

Temperatura del cranio di notte prossima alla fusione nucleare, gambe e braccia non pervenute. 
Decidersi a quel punto a chiamare la guardia medica alle 5 del mattino e chiedere un consiglio: continuare o no la Francigena?
Il medico di guardia che dice "E 'he ne so, sono un mediho, non dispenso honsigli. Venga 'he la visito".
Andare alla guardia medica. 
Predica del medico: "Vabbè a 20 anni, ma a 50 sarebbe meglio se sta' a hasa". 
Autostima livello Gasparri.

Al mattino partire dal monastero per la nuova tappa della via Francigena. 

Tornare indietro al monastero perché ho dimenticato i bastoncini da trekking.

Ripartire dal monastero. 

Tornare indietro al monastero perché ho dimenticato il cellulare in camera.

Ripartire dal monastero. 

Tornare indietro al monastero perché ho dimenticato la borraccia.

Dissimulare il tutto sui social con foto di paesaggi maestosi.