domenica 16 agosto 2015

Abolire il carcere

Qualche anno fa (molti anni fa, dai) ho avuto un compagno di banco molto più vecchio di me. Era stato in carcere e tentava di recuperare il tempo perduto. Era stato arrestato per spaccio ed era un tossico. Ma era riuscito a disintossicarsi dopo un periodo di comunità.
Era simpaticissimo, allegro. L'unico momento in cui perdeva il suo buonumore era quando gli facevo delle domande sul carcere. Aspirava una boccata più profonda del solito dalla Marlboro perennemente tra le labbra e guardava da qualche parte indefinita, senza rispondermi.
Solo una volta, ma aveva appena fumato una canna, si è lasciato andare dicendo semplicemente che "in carcere è meglio non andarci, succedono cose bruttissime".
Qualche mese dopo l'ho perso di vista e ho saputo che era tornato in carcere.
Questa cosa mi è tornata in mente in questi giorni leggendo "Abolire il carcere" di Luigi Manconi, un saggio dedicato alla completa inutilità della galera e alla necessità - come scrivono gli autori - di "sostituirla con misure alternative più adeguate, efficaci ed economiche, capaci di soddisfare tanto la domanda di giustizia dei cittadini nei confronti degli autori di reati più gravi (solo una piccola quota dei detenuti), quanto il diritto del condannato al pieno reinserimento sociale al termine della pena, oggi sistematicamente disatteso".
Se la si guarda dal punto di vista della recidiva, i conti sono presto fatti: il 70% di chi entra per un reato, una volta uscito lo commette di nuovo. Se lo si guarda dal punto di vista dei soldi a carico della collettività, i conti sono questi: ogni detenuto costa 125 euro al giorno, pari (dati 2013) a circa 3 miliardi di euro l'anno, letteralmente buttati al vento, dato che tre volte su quattro quegli stessi individui, una volta usciti, torneranno a delinquere. Insomma, il carcere non serve.
Esiste un'alternativa? Si, ma è lunga e faticosa, perché richiede un cambio di paradigma culturale, a partire - citando la postfazione di Zagrebelsky - dall'assicurare la dignità al carcerato, il suo diritto a un reale percorso di re-integrazione e di espiazione, che quasi mai deve passare per una gabbia, ma più spesso per una pena in cui ci si mette al servizio di quella stessa comunità colpita al cuore con il proprio delitto.
Da lì, la strada è in discesa. Per tutti.
Lettura consigliata.
Ah, dimenticavo: io di amici che hanno avuto difficoltà con l'eroina ne ho più d'uno. E sono tutte persone, a conti fatti, straordinarie. 

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