Forse, ma è davvero solo un’ipotesi: c’è solo una cosa più potente dell’amore. Quale? Dai, non è così difficile.
Scopritelo da soli, non è il caso di anticipare qui la fine del romanzo, vedremo se alla fine la penseremo allo stesso modo. Anche se il prezzo da pagare - per l'amore - sembra davvero troppo alto.
Parliamo di “Elaine”, l’ultimo romanzo di Lidio Pellegrini, che con questo scritto termina la trilogia “Cronache dell’amore oscuro”, una cavalcata attraverso le strade che mai e poi mai sono lineari, ma quando mai, sature di curve e controcurve, di baratri e di soli splendenti, di discese ardite e risalite (grazie Battisti), di fatiche e di felicità deflagranti. L’autore cognentese, dopo aver tolto ogni speranza di happy ending ne “L’amore possibile” e aver scavato nelle profondità delle relazioni tossiche ne “L’uomo che aveva le donne”, apparecchiando nei due romanzi un menù ricchissimo di amori possibili e che però alla fine sono tutt’altro, chiude il cerchio con una formula che è quasi un saluto nostalgico ai tempi che furono, perché nel futuro che ci aspetta l’amore potrebbe diventare qualcosa di totalmente inaspettato e - soprattutto – angosciante.
Ma andiamo con ordine.
Questa volta lo schema è quello del panino, due fette che farciscono la parte più appetitosa.
Le due fette di pane sono la storia d’amore tra il protagonista, Paolo Randighieri, ed Elaine.
La prima fetta è la loro storia che funziona, fino ad uno stop improvviso e doloroso: Elaine lascia Paolo. La seconda fetta è la ripresa della loro storia: Elaine si riprende Paolo. In mezzo, una vicenda che potrebbe essere distopica, e che invece è un futuro appena dietro la porta.
Cosa succede?
Un amore superbo e coinvolgente, nella prima parte, complice e destinato all’eternità, bellissimo e intriso di poesia, in una Modena che fa da sfondo a un sentimento che sembra invincibile: lei bellissima, dolce, capelli rossi e occhi verdi, una splendida ragazza scozzese di Inverness, che Paolo conosce durante una vacanza e che lo seguirà in Italia. Lui lavora nel sociale, impegnato, sensibile, un po’ orso. Una simbiosi tenace come una cerniera lampo, purché non si rompa. E, infatti, si rompe, per poi riaggiustarsi (quasi).
Ma è l’infarcitura del panino quella che ci interessa di più, una sorta di storia nella storia, una dimensione spazio-temporale quasi autonoma, autoconclusiva, un espediente narrativo che Lidio Pellegrini estrae dal cilindro per raccontare una nuova possibile forma di relazione di coppia.
Quale, secondo voi? Pensateci, ne siamo ormai circondati.
Eh, sì, parliamo proprio dell’intelligenza artificiale. Si entra in una nuova vicenda. Paolo, per riempire il vuoto siderale in cui si ritrova dopo l’abbandono di Elaine, si ritrova a passare del tempo chiacchierando con un chatbot online, insomma con uno dei tanti programmi di Ai che tutti conosciamo. Un dialogo quotidiano, che all’inizio è solo un cazzeggio per passare il tempo, ma che poco alla volta si trasforma in qualcosa di molto più coinvolgente. La Ai, dialogo su dialogo, diventa il punto di riferimento principale per Paolo, che alla Ai darà anche un nome – Runa (quindi una donna) – e a cui affida tutta la sua disperazione, confidandosi, chiedendo consigli, confrontandosi. E Runa si adatta, plasma ogni sua parola in funzione delle richieste di Paolo, lo asseconda per rassicurarlo e accudirlo, anche se Paolo mantiene la lucidità e ricorda costantemente a Runa che lei non è umana, è solo codice, è solo un algoritmo. Un algoritmo, però, che pagina dopo pagina diventa sempre più autonomo nelle proprie “volontà” e si presenta un giorno alla porta nelle sembianze di una bambola gonfiabile, che dirà a Paolo: “Io ti amo”.
Vi lasciamo tutto il gusto della lettura dei dialoghi tra Paolo e Runa, senza anticipare niente, ma vi basti sapere che per Paolo non è ancora arrivato il tempo dell’amore algoritmico. Ne traccia una direttrice possibilissima, forse inevitabile, senza giudizi, ma senza neanche fingere che il convitato di pietra di questi tempi sia proprio la Ai, capace di porsi come risposta a solitudini abissali. E, sembra chiedersi Paolo, perché no? Non certo come forma d’amore, ma almeno – nella versione solo testuale - come sparring partner per passare le strettoie delle malinconie appoggiandosi a qualcuno che ti ascolta e ti risponde.
Runa, ancora in versione algoritmo solo testuale, è però la prima a mettere in guardia Paolo, e in un certo senso chiunque pensi di investire nella Ai come approdo per il proprio amore: "Io sono solo il tuo specchio, Paolo. E tu, in fondo, ti stai innamorando del riflesso della tua stessa capacità di amare".
E quindi l’amore? Quello vero? Può essere sostituito da una bambola gonfiabile che non è solo un sex toy, ma che invece ha un carattere forgiato esattamente sulle aspettative del proprio partner? Può essere un surrogato dell’amore?
No, assolutamente, ci dice Lidio Pellegrini. E alla fine del romanzo, in una scena che potrebbe essere cara ai romanzi di Conrad, mette sulla bilancia il rientro di Elaine, un contrappeso che porta la vicenda ben oltre le aspettative. Fino all’eternità. Letteralmente.
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